Lo scrittore marinese Marco Onofrio ripercorre i suoi primi trent’anni di carriera letteraria

Lo scrittore marinese Marco Onofrio ripercorre i suoi primi trent’anni di carriera letteraria

10/05/2023 0 Di Marco Montini

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Lo scrit­to­re mari­ne­se Mar­co Ono­frio riper­cor­re i suoi pri­mi trent’anni di car­rie­ra let­te­ra­ria

Trent’anni di car­rie­ra let­te­ra­ria per Mar­co Ono­frio. Il noto scrit­to­re roma­no, castel­la­no di ado­zio­ne, pub­bli­ca­va difat­ti il suo pri­mo libro – il roman­zo “Inter­no cie­lo” – il 30 apri­le 1993. Da allo­ra un’eruzione con­ti­nua di pagi­ne ed ope­re per un tota­le, ad oggi, di ben 40 libri (ma il qua­ran­tu­ne­si­mo, una rac­col­ta di rifles­sio­ni su argo­men­ti sto­ri­ci, poli­ti­ci e socia­li dal sug­ge­sti­vo tito­lo “Ricor­di futu­ri”, è già in arri­vo dal­la tipo­gra­fia…) che fan­no di Ono­frio uno degli auto­ri più viva­ci, inte­res­san­ti e pro­li­fi­ci del­la sce­na cul­tu­ra­le con­tem­po­ra­nea. Lo abbia­mo incon­tra­to a Mari­no, dove vive dal 2006, per rac­co­glie­re le emo­zio­ni con cui sta viven­do, tra pas­sa­to, pre­sen­te e futu­ro, l’importante anni­ver­sa­rio.

Ono­frio, che cosa rap­pre­sen­ta per lei que­sto tren­ten­na­le?

“Un pun­to di arri­vo che, come ogni tra­guar­do, è oppor­tu­no vive­re come un pun­to di par­ten­za. Un momen­to di rifles­sio­ne che apre lo sguar­do a nuo­ve, sti­mo­lan­ti pro­spet­ti­ve”.

Come ricor­da il suo esor­dio?

“Con emo­zio­ne, ricor­dan­do l’emozione di allo­ra. Ave­vo 22 anni, tre­ma­vo di gio­ia. Il libro uscì a Mila­no con Ita­lia Let­te­ra­ria, una casa edi­tri­ce spe­cia­liz­za­ta nel lan­cio di nuo­vi auto­ri”.

Qual è, secon­do lei, il suo libro più bel­lo?

“Non sta a me dir­lo. Pos­so cita­re alcu­ne ope­re che riten­go tra le più segnan­ti e signi­fi­ca­ti­ve del mio mon­do crea­ti­vo, ad esem­pio il roman­zo “Sen­za cuo­re”, le tra­gi­com­me­die “La domi­nan­te” ed “È cadu­to il cie­lo”, i rac­con­ti oni­ri­ci “Ener­gie”, le rac­col­te poe­ti­che “Ana­to­mia del vuo­to” e “Azzur­ro esi­guo”. Ma il mio libro più impor­tan­te è anco­ra ine­di­to, e pro­ba­bil­men­te sarà l’ultimo ad usci­re”.

E il libro che ha avu­to fino­ra più suc­ces­so?

“Sen­za dub­bio “Empo­rium. Poe­met­to di civi­le indi­gna­zio­ne”, più vol­te mes­so in sce­na, e il suc­ces­so si spie­ga pro­ba­bil­men­te gra­zie alla sin­to­nia con i males­se­ri del mon­do in quest’epoca di cri­si e degra­do. Let­to­ri e spet­ta­to­ri si sono sen­ti­ti rap­pre­sen­ta­ti dal­le paro­le di quel testo, anche in Spa­gna dove è sta­to tra­dot­to e pub­bli­ca­to nel 2019. Da “Empo­rium” è poi nato il pro­get­to de “La cene­re dei Sogni” che sto per­for­man­do in col­la­bo­ra­zio­ne con il musi­ci­sta Vale­rio Mat­tei”.

Ce n’è, tra i 40, qual­cu­no che si è pen­ti­to di aver pub­bli­ca­to?

“No, tut­ti han­no den­tro il loro per­ché. So di cer­to che quan­do usci­ro­no rispon­de­va­no all’esigenza che mi ha por­ta­to a scri­ver­li e pub­bli­car­li. Ovvia­men­te, rileg­gen­do­mi a distan­za di anni, scri­ve­rei quel­le cose in modo diver­so. Però in que­sto modo si fini­reb­be per scri­ve­re e riscri­ve­re sem­pre lo stes­so libro, e inve­ce si inse­gue il “libro idea­le”, da cui si è peren­ne­men­te “abi­ta­ti”, attra­ver­so ope­re nuo­ve, aven­do cioè il corag­gio di licen­ziar­le e pub­bli­car­le così come sono quan­do, maga­ri dopo anni di revi­sio­ni, ci sem­bra­no “pron­te”. Poi è nor­ma­le che non tut­ti i libri rie­sca­no al mas­si­mo del­le loro pos­si­bi­li­tà, fa par­te del­la sto­ria di ogni scrit­to­re; l’importante è che non si vada mai al di sot­to di un cer­to livel­lo pro­fes­sio­na­le”.

Si vede più poe­ta, nar­ra­to­re, sag­gi­sta o dram­ma­tur­go?

“Poe­ta, per­ché lo sono anche quan­do scri­vo in pro­sa, ad esem­pio rac­con­ti o sag­gi cri­ti­ci. È poe­ti­ca la mia atti­tu­di­ne espres­si­va, cioè anzi­tut­to il mio modo di guar­da­re alle cose. Ed è poe­ti­ca anche l’intensità musi­ca­le con cui – per istin­to inna­to – ela­bo­ro paro­le e fra­si quan­do scri­vo. Per me scrit­tu­ra è sem­pre “com­po­si­zio­ne”.

Per­ché scri­ve così tan­to? Non teme di ripe­ter­si?

“Per­ché ho tan­te cose da dire! L’importante non è scri­ve­re “tan­to” (in gene­re rap­pre­sen­ta un pro­ble­ma solo per chi scri­ve poco…) ma non scri­ve­re “trop­po”, cioè cose evi­ta­bi­li o inu­ti­li o, appun­to, ripe­ti­ti­ve. Uno dei com­pli­men­ti più bel­li che rice­vo dai let­to­ri è che nei miei libri si sen­te che sono io, il mio sti­le è rico­no­sci­bi­le, ma ogni libro è comun­que diver­so dal pre­ce­den­te, ha una sua “into­na­zio­ne” par­ti­co­la­re e ori­gi­na­le”.

Quan­ti libri pre­ve­de di scri­ve­re anco­ra?

“Impos­si­bi­le pre­ve­der­lo, anche per­ché spes­so i libri più bel­li e feli­ci nasco­no all’improvviso, più che per deci­sio­ne pro­gram­ma­ta. Pos­so dire che, se la salu­te mi assi­ste e la vita me lo con­sen­ti­rà, ho in “can­na” – ad oggi – una quin­di­ci­na di libri ine­di­ti che spe­ro di con­clu­de­re e pub­bli­ca­re”.

Per­ché nel­la vita ha fat­to lo scrit­to­re? Che “mestie­re” è?

“Lo scrit­to­re non è un mestie­re che “si fa”, ma anzi­tut­to una con­di­zio­ne che “si è”. Quin­di direi anzi­tut­to che “sono” uno scrit­to­re, e che ho anche la for­tu­na di poter­lo fare. Ho volu­to coin­ci­de­re con la voca­zio­ne che ave­vo fin da pic­co­lo, e per una serie di cir­co­stan­ze favo­re­vo­li non sono sta­to costret­to a rinun­ciar­vi – come pur­trop­po acca­de a mol­ti, pur dota­ti. Ini­zial­men­te ave­vo un’attitudine pit­to­ri­ca, a cui (intor­no ai 15 anni d’età) pre­fe­rii man mano quel­la poe­ti­ca. Intor­no ai vent’anni mi ero per­sua­so alla car­rie­ra gior­na­li­sti­ca, ma ven­ni pre­sto dis­sua­so dal­le pri­me vere espe­rien­ze reda­zio­na­li. In real­tà sono un musi­ci­sta e un can­tan­te man­ca­to”.

Come defi­ni­reb­be, in pochis­si­me paro­le, l’ambiente let­te­ra­rio?

“Tran­ne rare ecce­zio­ni è una jun­gla di ser­pen­ti, pron­ti a ino­cu­la­re il vele­no dell’invidia non appe­na avver­ta­no la minac­cia, anche pre­sun­ta, di un atten­ta­to nar­ci­si­sti­co al loro Ego. Chi si met­te in luce sco­pre auto­ma­ti­ca­men­te di esser­si fat­to dei nemi­ci che non sape­va e non cre­de­va di ave­re”.

Che con­si­gli dareb­be a un gio­va­ne auto­re?

“Di leg­ge­re e stu­dia­re mol­to pri­ma di scri­ve­re. Di non aver fret­ta di pub­bli­ca­re, pen­san­do solo agli applau­si. Di non cer­ca­re le vie faci­li (il pote­re, il pre­sen­zia­li­smo, le pub­bli­che rela­zio­ni) ma di impe­gnar­si seria­me­ne nel per­cor­so. La scrit­tu­ra non è una pre­scri­zio­ne medi­ca, è una voca­zio­ne che occor­re per­se­gui­re solo se si è dav­ve­ro por­ta­ti e chia­ma­ti a far­lo”.

Il “fiu­me in pie­na” del­la sua scrit­tu­ra dà spes­so l’impressione di esplo­de­re dal­la rab­bia e dall’insofferenza. Che cos’è che la indi­spo­ne così tan­to?

“Det­to in estre­ma sin­te­si, il fat­to che il mon­do con­ti­nui a pre­fe­ri­re Barab­ba a Cri­sto. Ma i sepol­cri imbian­ca­ti fin­go­no che que­sto non acca­da, ogni gior­no, ogni momen­to del­la sto­ria uma­na. È trop­po faci­le bat­ter­si il pet­to e poi vol­ge­re altro­ve lo sguar­do”.

Che impor­tan­za dà all’impegno poli­ti­co?

“Impor­tan­za sostan­zia­le, non pro­gram­ma­ti­ca o acces­so­ria. Scri­ve­re “è” impe­gno poli­ti­co a 360° nel­la misu­ra in cui con­sen­te di capi­re meglio la real­tà e di scuo­ter­la dall’inerzia dei suoi pro­ble­mi”.

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