Raige si racconta: “la morte dell’artista è la psicoanalisi”

Raige si racconta: “la morte dell’artista è la psicoanalisi”

31/01/2021 0 Di Carola Piluso

Que­sto arti­co­lo è sta­to let­to 1524 vol­te!

In occa­sio­ne del­l’u­sci­ta di Car­ta­gi­ne, abbia­mo incon­tra­to Rai­ge che ci ha rac­con­ta­to il suo nuo­vo pro­get­to musi­ca­le e la nuo­va veste di diret­to­re arti­sti­co di altri gio­va­ni talen­ti.

Rai­ge so che tu non vuoi mai spie­ga­re i tuoi bra­ni, ma voglio sape­re come è nata Car­ta­gi­ne e per­ché gli hai dato que­sto tito­lo. 

Il tito­lo è una meta­fo­ra. Par­la del­la fine di una sto­ria impor­tan­te per me. Car­ta­gi­ne duran­te le guer­re puni­che fu distrut­ta, anche se si ritie­ne esse­re un fal­so sto­ri­co. Secon­do me la sto­ria di Car­ta­gi­ne ren­de­va l’i­dea di que­sto rap­por­to che sta­vo viven­do.

Anche nel tuo album pre­ce­den­te Affet­to Pla­ce­bo era­no pre­sen­ti mol­te meta­fo­re che descri­ve­va­no le tue emo­zio­ni. Rispet­to a quel­l’al­bum sei cam­bia­to arti­sti­ca­men­te?

Sì, per me Affet­to Pla­ce­bo è un album di tran­si­zio­ne ave­vo ritro­va­to la mia dimen­sio­ne come esse­re uma­no. Veni­vo da un’e­spe­rien­za in major mol­to impor­tan­te di 4 anni e nel­l’ul­ti­mo perio­do le mie inten­zio­ni e quel­le del­la major non era­no le stes­se. Affet­to Pla­ce­bo è un po’ uno sfo­go, è mol­to di pan­cia. Ora non sono lega­to a nes­su­no, la musi­ca che fac­cio  è più misu­ra­ta, è sem­pre frut­to di un’e­si­gen­za arti­sti­ca ma ho più tem­po per curar­la. Deci­do di usci­re con qual­co­sa quan­do ne sono con­vin­to.

Ti sei sem­pre distin­to dal­la mas­sa e sei sta­to restio alle rego­le. Que­sto tuo esse­re “fuo­ri dal coro” è sta­to più un van­tag­gio o uno svan­tag­gio per la tua car­rie­ra?

Sicu­ra­men­te è sta­to un osta­co­lo per la mia car­rie­ra, ma me ne fre­go. Pre­fe­ri­sco sta­re bene con me stes­so e dire sem­pre quel­lo che pen­so sen­za rimu­gi­na­re sul­le cose. Ho fat­to il poli­ti­cal­ly cor­rect quan­do ero in major per­ché ave­vo biso­gno di un soste­gno, di un appog­gio. Io sono un per­so­nag­gio schiet­to, ruvi­do pre­fe­ri­sco esse­re me stes­so sem­pre. Vivia­mo in un perio­do in cui nes­su­no ha tem­po, quin­di non pos­sia­mo sta­re die­tro ai non det­ti, ai sot­ter­fu­gi per appa­ri­re quel­lo che non si è. I social sono l’e­stre­miz­za­zio­ne di que­sto. Tut­ti fan­no fin­ta di esse­re model­li, model­le, influen­cer sono per arric­chir­si di fol­lo­wer ed è un pro­ble­ma socia­le secon­do me. Per­ché l’in­se­gui­men­to dei fol­lo­wer, vole­re a tut­ti costi arric­chir­si di fol­lo­wer, deno­ta una pover­tà inte­rio­re. Que­sto per dire che se ti mostri te stes­so da subi­to la gen­te lo apprez­za di più e sei più in pace con te stes­so. Anche riguar­do la tec­no­lo­gia sono più anco­ra­to alla vita rea­le, sono ana­lo­gi­co aha­hah (ride).

Stia­mo sco­pren­do un Rai­ge anche diret­to­re arti­sti­co.… Con qua­le metro di giu­di­zio sce­gli i ragaz­zi da segui­re?

Nel­la mia vita solo due vol­te sono sta­to diret­to­re arti­sti­co. L’ho fat­to in major e ulti­ma­men­te l’ho fat­to con Caro­la, can­tan­te emer­gen­te.  Mi affac­cio a que­sta cosa con gran­de umil­tà, lo fac­cio cer­can­do di fare quel­lo che avrei volu­to aves­se­ro fat­to con me. Quel­lo che mi muo­ve a segui­re un ragaz­zo è che ten­den­zial­men­te deve ave­re qual­co­sa che mi col­pi­sce. Caro­la non scri­ve, non è una can­tau­tri­ce, è un’in­ter­pre­te però io vedo che ha qual­co­sa da comu­ni­ca­re. Quan­do fai que­sto mestie­re hai un mostro, un pro­ble­ma irri­sol­to. La mor­te del­l’ar­ti­sta è la psi­ca­na­li­si, per­ché lo psi­coa­na­li­sta ti toglie i mostri che hai e se non hai più quel­la roba lì non hai più nul­la da dire. Con l’ar­te espri­mi i tuoi mostri, i tuoi disa­gi. Quan­do un tuo mostro si incon­tra con quel­lo del­l’ar­ti­sta si crea la con­nes­sio­ne per­fet­ta tra ascol­ta­to­re e can­tan­te. Il mostro di Caro­la mi ha impres­sio­na­to, mi è arri­va­to for­te in fac­cia e lo vedo quan­do can­ta. Io l’ho indi­riz­za­ta voi e l’ho aiu­ta­ta a cana­liz­zar­lo. Quan­do ascol­to una can­zo­ne ana­liz­zo mol­to le paro­le usa­te, sono mol­to cri­ti­co in que­sto per­ché è il mio set­to­re.

Quan­do scri­vi un bra­no per qual­cun altro qual è il tuo approc­cio lavo­ra­ti­vo?

Le can­zo­ni più bel­le che io ho scrit­to e poi ho dona­to ad altri sono quel­le che scri­vo per me. Mi spie­go meglio, scri­vo  per­ché ho voglia di scri­ve­re e lo fac­cio come se fos­se­ro can­zo­ni che vor­rei can­ta­re io. Poi per una serie di moti­vi non le can­to io, se è una can­zo­ne mol­to for­te voglio che la can­ti un super arti­sta. Con­scio del­la mia dimen­sio­ne arti­sti­ca non la can­to io e la fac­cio can­ta­re ad altri. Le rare vol­te in cui scri­vo con gli arti­sti ven­go­no fuo­ri cose non bel­lis­si­me. Io sono mol­to ingom­bran­te e lascio poco spa­zio di mano­vra sul­le paro­le, io ho tol­to del­le can­zo­ni ad altri per­ché secon­do me non le can­ta­va­no come si dove­va o per­ché vole­va­no cam­bia­re il testo. Se tu por­ti un miglio­ra­men­to nel testo ogget­ti­vo, ed è avve­nu­to ad esem­pio con Tizia­no Fer­ro, tiro giù la testa e accet­to la modi­fi­ca.

Per la ricer­ca del les­si­co nel­le can­zo­ni, è sta­ta una cosa natu­ra­le o ci hai dovu­to lavo­ra­re?

Un po’ di mestie­re lo impa­ri. Scri­ve­re can­zo­ni non è faci­le, per­ché maga­ri su una fra­se ci stai tan­to tem­po. In alcu­ni momen­ti è anche sner­van­te. Se scri­vo con auto­ri che non han­no un mostro com­pa­ti­bi­le con il mio dif­fi­cil­men­te scri­vo bene, o meglio, fac­cio il com­pi­to, gio­co di mestie­re. Impa­ro nuo­vi lin­guag­gi a secon­da del­l’ar­ti­sta che ho di fron­te. Il lin­guag­gio lo inter­pre­ti anche in base a quel­lo che hai in men­te di fare con quel­la can­zo­ne. Quan­do ho scrit­to “lascia­le anda­re” che poi è diven­ta­ta “il mestie­re del­la vita” io lo sape­vo che era una hit. Lo capi­sci subi­to se è una gran­de can­zo­ni. Stes­sa cosa per la can­zo­ne di Luca Car­bo­ni, Elo­die, Nek o “Dire­zio­ne la vita” per Anna­li­sa. Lo sai che sono can­zo­ni supe­rio­ri, te ne accor­gi. A quel pun­to devi tro­va­re l’ar­ti­sta giu­sto a cui affi­dar­le.

A vol­te non hai pau­ra di sve­la­re trop­po di te stes­so o del tuo vis­su­to nel­le can­zo­ni?

Io cre­do che ci sia un solo modo di fare il can­tau­to­re, devi rac­con­ta­re te stes­so, quel­lo che vivi. La mia per­so­na­le teo­ria è un gior­no vivi, uno scri­vi. Non so dir­ti da cosa nasce l’ar­te, sicu­ro non nasce dal­la feli­ci­tà, dal­la soli­tu­di­ne. Può nasce­re nel­la soli­tu­di­ne ma nasce dal­la con­di­vi­sio­ne.

 

 

 

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