Roma. Il PCI Lazio, con Sonia Pecorilli, chiede a Governanti nazionali e regionali la presa d’atto sulla sanità territoriale! Occorre assumere, subito almeno 20.000 infermieri

Roma. Il PCI Lazio, con Sonia Pecorilli, chiede a Governanti nazionali e regionali la presa d’atto sulla sanità territoriale! Occorre assumere, subito almeno 20.000 infermieri

08/12/2020 1 Di Maurizio Aversa

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don­na sim­bo­lo del­la lot­ta al coro­na­vi­rus


“E’ sostan­zia­le ed evi­den­te la disgre­ga­zio­ne del Siste­ma Sani­ta­rio Nazio­na­le in que­sta secon­da fase del­la pan­de­mia da COVID-19, se duran­te la pri­ma fase sia­mo riu­sci­ti ad otti­miz­za­re le risor­se in ogni ambi­to nono­stan­te i tan­ti con­ta­gi ed i tan­ti mor­ti, in que­sta attua­le fase ci tro­via­mo di fron­te ad una cru­da realtà,10 anni di smem­bra­men­to del SSN han­no pro­cu­ra­to un disa­stro sani­ta­rio, col­pe­vo­li di aver age­vo­la­to il siste­ma sani­ta­rio pri­va­to lascian­do mori­re un siste­ma che col­let­ti­va­men­te è sem­pre sta­to deno­mi­na­to Assi­sten­za Sani­ta­ria Uni­ver­sa­le e che rap­pre­sen­ta un siste­ma di assi­sten­za sani­ta­ria in cui a tut­ti i resi­den­ti di un deter­mi­na­to pae­se o regio­ne è garan­ti­to l’ac­ces­so all’as­si­sten­za sani­ta­ria. – ragio­na rivol­gen­do­si ai gover­nan­ti Sonia Peco­ril­li, asses­so­re a Ser­mo­ne­ta e mem­bro del Comi­ta­to Regio­na­le del PCI Lazio — È gene­ral­men­te orga­niz­za­ta in modo tale da for­ni­re i ser­vi­zi sani­ta­ri, con l’o­biet­ti­vo fina­le di miglio­ra­re i risul­ta­ti sani­ta­ri. L’assistenza sani­ta­ria è la nostra più gran­de indu­stria, quin­di con­si­de­ra­ta solo una com­po­nen­te finan­zia­ria che è neces­sa­ria­men­te socia­liz­za­ta. L’assistenza sani­ta­ria è sta­ta a lun­go una del­le que­stio­ni più con­te­sta­te poli­ti­ca­men­te. La lot­ta sul­la rifor­ma sani­ta­ria (con­tro l’unica Rifor­ma attua­ta quel­la del 1978, ndr) è sta­ta for­se la que­stio­ne più acu­ta del­la poli­ti­ca nazio­na­le, esem­pli­fi­ca­ta oggi da un tota­le fal­li­men­to. Pur­trop­po anche in que­sto ambi­to, così come in altri riguar­dan­ti la salu­te, l’obiettivo prin­ci­pa­le risul­ta il rispar­mio sul­la pre­sta­zio­ne anzi­ché la salu­te del pazien­te tra­scu­ran­do la pos­si­bi­li­tà di dispor­re di un ser­vi­zio pro­fes­sio­na­le, cor­ret­to e lega­le. Le figu­re che ruo­ta­no intor­no all’assistenza sono mol­te­pli­ci ma non per que­sto degni di esse­re valo­riz­za­te. Par­lia­mo di figu­re che toc­ca­no aspet­ti fon­da­men­ta­li nel­la cura di un pazien­te qua­li la pre­ven­zio­ne, l’educazione, la ria­bi­li­ta­zio­ne e la pal­lia­zio­ne, seguen­do il nucleo fami­lia­re e diven­tan­do, così, un pun­to di rife­ri­men­to. Con il pas­sa­re del tem­po il dif­fu­so mal­co­stu­me ha depau­pe­ra­to e sna­tu­ra­to la figu­ra del per­so­na­le sani­ta­rio crean­do una (fal­sa) cre­den­za cir­ca le rea­li com­pe­ten­ze e il cor­re­la­to rico­no­sci­men­to eco­no­mi­co. Il rico­no­sci­men­to eco­no­mi­co diven­ta così un osta­co­lo enor­me pro­prio per­ché non uffi­cial­men­te rico­no­sciu­to, ne da par­te del­le isti­tu­zio­ni ne da par­te dei frui­to­ri. Tut­ta que­sta pre­mes­sa ser­ve a dire che oggi non ser­vo­no nuo­ve leg­gi e nuo­ve pro­gram­ma­zio­ni: tut­te le solu­zio­ni per la Fase 2 di COVID-19 sono nel Pat­to per la Salu­te 2019–2021, appro­va­to in Sta­to Regio­ni a fine 2019 e che per la pan­de­mia non ha fat­to anco­ra in tem­po a esse­re del tut­to appli­ca­to. – con­ti­nua, illu­stran­do nel meri­to la que­stio­ne dram­ma­ti­ca attua­le, l’amministratore pon­ti­no — Nel Pat­to del­la Salu­te ci sono figu­re sani­ta­rie come ad esem­pio l’infermiere di famiglia/comunità (IFeC), una figu­ra che l’OMS ha già descrit­to e intro­dot­to fin dal 2000, ma che nel nostro Pae­se per ora è solo uffi­cia­le sul­la car­ta, ma non attua­ta ovun­que. Nel­le Regio­ni dove tale ruo­lo è a pie­no regi­me (poche per il momen­to, qua­si tut­te ben­ch­mark, e in mol­te anco­ra in fase di spe­ri­men­ta­zio­ne) i cit­ta­di­ni han­no un pun­to di rife­ri­men­to pre­ci­so nel loro ter­ri­to­rio per qual­sia­si neces­si­tà assi­sten­zia­le. In alcu­ne Regio­ni dove la sua atti­va­zio­ne ha già pre­so pie­de (pri­ma dell’introduzione nel Pat­to) sono rile­van­ti a par­ti­re da una rispo­sta imme­dia­ta e tem­pe­sti­va alle esi­gen­ze del­la popo­la­zio­ne, che si rivol­ge al ser­vi­zio di Pron­to Soc­cor­so in modo più appro­pria­to e con con­se­guen­te ridu­zio­ne dei rico­ve­ri (in quan­to si agi­sce pri­ma che l’evento acu­to si mani­fe­sti) e quin­di ridu­zio­ne del tas­so di ospe­da­liz­za­zio­ne del 10% rispet­to a dove è pre­sen­te la nor­ma­le assi­sten­za domi­ci­lia­re inte­gra­ta. L’infermiere di famiglia/comunità è garan­zia anche del­la con­ti­nui­tà assi­sten­zia­le. Se tale figu­ra fos­se già sta­ta isti­tui­ta avrem­mo avu­to una rete ade­gua­ta per gran par­te del­le fun­zio­ni asse­gna­te alle USCAR per COVID-19 che, ad ogni buon con­to, dovreb­be­ro esse­re for­ma­liz­za­te come acca­de in alcu­ne Regio­ni in qua­li­tà di micro-équi­pe medi­co infer­mie­ri­sti­che.

Sonia Peco­ril­li, asses­so­re a Ser­mo­ne­ta, in una ini­zia­ti­va sui cam­mi­ni


È il con­cet­to del­le équi­pe ter­ri­to­ria­li, un con­cet­to fon­da­men­ta­le da per­se­gui­re nel­la fase 2. Una for­te pre­sen­za del­la infer­mie­ri­sti­ca di fami­glia e comu­ni­tà che lavo­ri accan­to alla medi­ci­na gene­ra­le. Dove l’infermiere di famiglia/comunità c’è, si regi­stra anche la ridu­zio­ne dei tem­pi di per­cor­ren­za sul tota­le del­le ore di atti­vi­tà assi­sten­zia­le, pas­sa­ta anche dal 33% al 20% in tre anni, con un impor­tan­te recu­pe­ro del tem­po assi­sten­zia­le da dedi­ca­re ad atti­vi­tà ad alta inte­gra­zio­ne socio­sa­ni­ta­ria. – sot­to­li­nea anco­ra la diri­gen­te comu­ni­sta — Sen­za dimen­ti­ca­re la pro­mo­zio­ne di un rap­por­to di mag­gio­re fidu­cia tra infer­mie­re e cit­ta­di­no, dovu­ta a una più rile­van­te pros­si­mi­tà e una miglio­re offer­ta assi­sten­zia­le che va oltre la pre­sta­zio­ne ero­ga­ta, ver­so una dimen­sio­ne socia­le e rela­zio­na­le che miglio­ra la qua­li­tà di vita dei cit­ta­di­ni. Secon­do un’indagine con­dot­ta sul­la qua­li­tà per­ce­pi­ta dai pazien­ti e fami­lia­ri frui­to­ri del ser­vi­zio, gli uten­ti sono più che sod­di­sfat­ti del nuo­vo ser­vi­zio: il 93% degli inter­vi­sta­ti ritie­ne che la pre­sen­za dell’infermiere di comu­ni­tà (qua­li sono le RSA ad esem­pio) rispon­da meglio ai pro­pri biso­gni assi­sten­zia­li rispet­to al pre­ce­den­te model­lo di assi­sten­za domi­ci­lia­re inte­gra­ta. Quin­di per la Fase 2 ci vuo­le l’infermiere di famiglia/comunità. E per aver­lo ser­ve un’integrazione degli orga­ni­ci infer­mie­ri­sti­ci ormai all’osso: duran­te la pan­de­mia i tur­ni sono sta­ti anche oltre le 12 ore. Quan­ti ne ser­vo­no? La sti­ma (sen­za con­si­de­ra­re le Regio­ni in cui è pre­sen­te un mag­gior nume­ro di anzia­ni e fra­gi­li dove le neces­si­tà aumen­ta­no) l’ha fat­ta la Fede­ra­zio­ne nazio­na­le degli ordi­ni del­le pro­fes­sio­ni infer­mie­ri­sti­che: sul ter­ri­to­rio, per rispon­de­re ai biso­gni di salu­te degli oltre 24 milio­ni di cit­ta­di­ni con pato­lo­gie cro­ni­che o non auto­suf­fi­cien­za, la Fede­ra­zio­ne nazio­na­le degli infer­mie­ri ha cal­co­la­to la neces­si­tà media di alme­no un infer­mie­re ogni 500 assi­sti­ti (assi­sten­za con­ti­nua) di que­sto tipo: cir­ca 20mila infer­mie­ri di famiglia/comunità. Un nume­ro che è desu­mi­bi­le anche cal­co­lan­do un infer­mie­re di fami­glia e comu­ni­tà ogni 3mila cit­ta­di­ni cir­ca. Inol­tre, l’infermiere di famiglia/comunità può rap­pre­sen­ta­re una solu­zio­ne per quan­to riguar­da l’assistenza nel­le “aree inter­ne”: si trat­ta del­la cura di oltre un ter­zo del ter­ri­to­rio ita­lia­no (le zone mon­ta­ne copro­no il 35,2% e le iso­le l’1% del­la Peni­so­la) e la col­la­bo­ra­zio­ne tra infer­mie­ri di fami­glia e di comu­ni­tà sul ter­ri­to­rio – socia­le e di cura – per il soste­gno in quel­le zone che oggi spes­so sono spo­po­la­te per­ché pri­ve pro­prio di sup­por­ti socia­li e più in gene­ra­le di ser­vi­zi pub­bli­ci, rap­pre­sen­te­reb­be anche uno stru­men­to uti­le alla ridu­zio­ne del­le attua­li disu­gua­glian­ze. – quin­di con for­za Sonia Peco­ril­li, indi­ca cosa fare subi­to — Ci dob­bia­mo ren­de­re con­to che 20mila nuo­vi infer­mie­ri intro­dot­ti nel siste­ma da subi­to non sono pochi ma uti­liz­zan­do ad esem­pio anche i libe­ri pro­fes­sio­ni­sti e comun­que for­me di par­te­ci­pa­zio­ne che si pos­so­no deci­de­re in segui­to, l’istituzione di que­sta nuo­va figu­ra in modo omo­ge­neo ovun­que, alme­no per la metà degli orga­ni­ci neces­sa­ri, rap­pre­sen­ta una vera e pro­pria arma in più per fare fron­te nel­la Fase 2 all’emergenza COVID-19”, figu­ria­mo­ci nel­la paven­ta­ta Fase 3.”.

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