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Marino. Aversa, PCI Lazio, sul Governo: giudizio negativo!
05/09/2019Questo articolo è stato letto 4533 volte!
Maurizio Aversa, dirigente comunista marinese del PCI Lazio, letti i primi i commenti sul neonato governo Conte II (in realtà avrà presumibilmente il voto positivo alle Camere lunedì prossimo), e in specie l’intervento, lucido e puntuale dell’on. Santarelli, ha voluto immediatamente proporre un differente giudizio. Che, da un lato non si soffermasse alla semplice contentezza di aver cacciato (autodefenestrato) un inutile quaquaraquà del qualunquismo; e che neppure si facesse sedurre da promesse di superficie che non intaccano in nulla la storica questione di chi sfrutta e chi è sfruttato. Una domanda su tutte: fisco, tasse, cuneo, ecc. ma prendere i soldi dove sono (patrimoniale) perchè non si sceglie? Per questo propone, scenari e visioni.
Scenari e visioni.
Proviamo a compilare gli scenari in cui si immette, si ritrova, questa nuova esperienza di governo in Italia.
5G, demografia, via della seta.
Senza dubbio, chi richiama l’attenzione sul mutamento dei parametri e dell’espletamento delle funzioni lavorative, nella accezione dei modi, degli strumenti e dei tempi, ha pienamente ragione. Così come hanno ragione coloro che caparbiamente sottolineano che, mutati gli strumenti e i tempi, innovati i modi, il tema resta lo stesso che additò Marx: chi è proprietario degli strumenti, oggettivamente sfrutta chi li utilizza a fine di profitto. Padroni e proletari, con altre vesti, con differenti tempi di gestione, restano legati a questo indissolubile nodo. Ovvero, risolvibile se decade lo sfruttamento, quindi la proprietà e quindi chi decide l’organizzazione del lavoro. Perciò lo scenario del 5G che allevia le fatiche, che digitalizza, che crea (fasullamente) i datori di se stessi , non è risolutivo di nulla se non si interviene sul capitalismo morente soppiantandolo. Così come non è magico per le giovani generazioni che saranno “più libere” nella gestione spazio temporale, semplicemente perché è una catena corta che nulla concede.
Del resto, con tutte le possibilità in seno ai cambiamenti produttivi, una grandissima quantità di espletazione di mansioni lavorative, grossolane, umili, specializzate, ovvero ripetitive, nell’industria come nell’agricoltura o nel commercio e nei servizi, non sono debellate. Anzi, erroneamente intese come minori, come lavoro di ripiego, sono la spina dorsale del funzionamento della società. Pensate ai portantini, agli operatori ecologici, al personale ata delle scuole, ai braccianti, ai manovali, agli addetti alle catene di montaggio. Sono milioni di lavoratori e lavoratrici che, sparsi nel decentramento e spezzettamento produttivo, parcellizzate la forma delle squadre di lavoro – non più a decine, ma a poche unità – sono comunque presenti quotidianamente nella base di funzionamento di ogni moderna società come la nostra. Da noi però, c’è un aggravante – forse per il connubio perverso di una borghesia che non è stata mai nazionale, ma tutto al più familiare che ha preferito seguire il profitto piuttosto che la fedeltà al Paese – che la discesa della prospettiva futura simile ormai a incubo o disillusione comunque, è stata ragione del calo demografico. Che non è un dato per analisti. No è la controprova che non avendo futuro c’è la fuga a voler scommettere a volersi impegnare per una prospettiva positiva. Risultato troppe poche nascite che impediscono programmazione e facilitano rapina sociale. Una delle più note lo sfruttamento delle migrazioni che suppliscono le mancate nascite, ma che al contempo, rendono più difficile e complicato una tenuta sociale anche e perfino nelle rivendicazioni dei diritti, del lavoro e della persona.
La Cina, che per mille motivi – non ultimo che vive il problema al contrario, non ultimo che è capace di prevedere temi per lo sviluppo mondiale e non solo di casa propria, non ultimo perché da stato socialista che insegue gli ideali comunisti vuole aiutare i popoli e le nazioni del mondo disposte ad accettare queste preoccupazioni – è in grado di indicare soluzioni, in questa fase storico-politica internazionale, nel frangente globale non negativo e non di appiattimento, sta proponendo la via della seta. Un modo di pensare a lungo termine – 2050 è l’orizzonte – in cui si propone come partner per progetti infrastrutturali locali e internazionali; progetti di ampliamento e crescita culturale e sociale di tutti i popoli e le nazioni che vorranno beneficiare di tale opportunità. Con una unica conseguenza oggettiva: il raggiungimento della pace per reciproche convenienze e non per non belligeranza o per la presenza delle cosiddette “guerre regionali” di cui se ne contano ormai a decine.
Ed ora illustriamo qualche visione prossima ventura.
Ambiente, produttività, lavoro.
Pensare alla questione ambientale senza connaturarla con la manutenzione ordinaria e straordinaria del territorio, dei beni pubblici delle infrastrutturazione a rete, significa fare gli ambientalisti dell’ampolla. Cioè quelli che parlano e servono a poco perché si concentrano a recintare due metri quadrati di “natura incontaminata” senza intervenire e risolvere le questioni dell’inurbamento e della antropizzazione, cioè i luoghi in cui l’umanità vive quotidianamente. Quindi il primo intervento vero in Italia, di natura ambientale per l’odierno che è prospettico per il futuro, ad esempio è la grande opera di manutenzione straordinaria ed ordinaria dell’assetto idrogeologico: del territorio, delle infrastrutture ed aree a rischio, delle urbanizzazioni da sanare (ricordiamo Livorno?).
Così come pensare alla produttività, non soggiogata dal profitto ma ispirata dal cosa si produce e per chi si produce, aiuta a scegliere interventi di ristrutturazione ambientale dei siti produttivi (abbiamo presente ILVA?). E se tale linea di politica economica e produttiva ambientale non si confà con i desiderata degli appetiti padronali, si nazionalizzi. Prima si interviene per i cittadini e la loro salute, poi per la possibilità di produrre, quindi per la qualità di produzione che il sistema italiano è capace di mostrare e realizzare, in ultimo se c’è l’utile è meglio, altrimenti si lavora a parità di bilancio avendo: rispettato l’ambiente e quindi il futuro e la salute, dato lavoro in sicurezza, prodotto beni di qualità.
Il lavoro. Non va confuso con reddito minimo, col reddito di cittadinanza o col salario minimo. Le misure di welfare, seppure pensate per la nuova società digitalizzata che taglia posti di lavoro perché la robotica etc… sono possibili e da adottare. Ma la strategia per il lavoro, sia esso classico, o pensato in nuova veste oraria (lavorare meno per lavorare tutti è possibile. Soprattutto è possibile se giocato come scelta non in una sola nazione: qualcuno del Governo glielo dirà all’Europa ? O si teme la reazione padronale?) ha bisogno di scelte fondamentali che impattano con programmi a lunga scadenza come un piano per l’industria, per l’agricoltura, per i servizi, e cosi via.
Alla luce di questi scenari (sommari), e di queste visioni (parziali e primarie)il quesito sul Governo, per darne un giudizio non di lavoro (vediamo cosa fa e poi giudichiamo), ma di indirizzo (che è il cuore della politica: altro che contrattini di governucci, o antipolitica del caso per caso e né destra né sinistra). Ed a questo proposito, chi spezza già lancia a favore, certamente si assume la responsabilità (legittima e trasparente) di schierarsi politicamente, ma mal giustifica la propria scelta. Perché? Perché gli indirizzi filoeuropei e, peggio, euroatlantici, da tutte le parti rivendicate, mentre depotenzia la autoappartenenza alla sinistra di LeU, consegna mani e piedi M5S e PD alle politiche del turbocapitalismo morente, e del giogo al fiscal compact. Lo sappiamo che la contingenza può favorirci in quanto la Germania in difficoltà abbasserà la guardia e consentirà una flessibilità dei conti, ma è tutt’altro dall’autonomia vera del nostro Paese per le proprie scelte che potrebbe sopportare una sottomissione di linea solo nel caso di una altra Europa che non c’è. Né in fieri né sulla carta: è solo vagheggiata inutilmente in qualche sprazzo convegnistico di maniera!
Quindi, pur senza mancare di rispetto a chi crede che stia compiendo una grande azione innovatrice, le grandi scelte, quelle che possono riconsegnare l’Italia alle nostre autonome decisioni (al limite con l’uscita da UE ed euro, sicuramente dalla dannosa NATO) in attesa di promuovere una vera Europa politica e dei popoli, non sono ora nelle corde delle volontà di questi contraenti: né del M5S, né del PD, e neppure di LeU. Questo l’unico giudizio possibile oggi.
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Un operatore dell’informazione. Un attivista culturale impegnato a diffondere le buone pratiche che aumentano ed estendono la fruizione del miglior bene immateriale di cui l’umanità dispone: il sapere, la conoscenza, la cultura. Questo il mio intimo a cui mi ispiro e la mia veste “giornalistica”. Professionalmente provengo da esperienze “strutturate” come sono gli Uffici Stampa pesanti: La Lega delle Cooperative, Botteghe Oscure. Ma anche esperienze di primo impatto: Italia Radio; e il mondo delle Rassegne Stampa cooperativa DIRE, Diretel, Rastel, Telpress. Per la carta stampata oltre una esperienza “in proprio” come direttore scientifico della rivista “Vini del Lazio”, ho collaborato con Paese Sera, con L’Unità, con Oggi Castelli.