Marco Onofrio continua a mietere successi letterari, consolidando la sua statura di portabandiera culturale dei…
Note di riflessione sul Premio “Moby Dick-Gruppo H24”, dopo recente evento a Palazzo Colonna. Intervista all’ideatore e presidente, Marco Onofrio
25/10/2023Questo articolo è stato letto 2718 volte!
Come hai partorito l’dea del Premio “Moby Dick”?
Mi è balenata in testa grazie a un fortunato “filotto” di intuizioni che si sono accese e illuminate a vicenda. Tra l’Associazione culturale di Bibliopop/ACAB (Associazione Comune Autonomo Boville) e il capitano Achab dell’immortale capolavoro di H. Melville (1851), si è accesa all’improvviso una scintilla. Il passo successivo, subito dopo, è stato evocare la celebre canzone del Banco del Mutuo Soccorso (1983), e quindi l’attuale leader della band, il M° Vittorio Nocenzi. Marinese Doc, Nocenzi vive e compone musica a Genzano, da cui parte e a cui ritorna prima e dopo i numerosi concerti in tutta Italia: era dunque la figura iconica perfetta per rappresentare un premio letterario nazionale, sì, ma nato e contestualizzato nei Colli Albani. Contattato da un “certo” Maurizio Aversa [ride, n. d. R.], Nocenzi ha accolto con entusiasmo la proposta della presidenza onoraria del Premio. Da lì, è partito tutto.
Qual è il significato del Premio?
La celebrazione umanistica dell’Ideale. L’iniziativa è dedicata a tutti i sognatori, a chi non abbassa lo sguardo davanti alla realtà, a chi cerca e cattura visioni oltre l’orizzonte. I grandi temi irradiati dalla sua “mission” e sintetizzati per sempre dal mito della balena bianca sono: il sogno, l’utopia, l’immaginazione, la trasfigurazione, la ricerca e l’inseguimento senza fine di un mondo migliore. Il Premio obbedisce alla necessità sempre più urgente di seminare e raccogliere umanesimo per contrastare la deriva di questa disumana e alienante società tecnocratica globalizzata, che sta producendo un arretramento dell’evoluzione umana e un generale degrado dell’intelligenza. Viviamo le estreme propaggini dell’epoca che H. Hesse – nel romanzo “Il giuoco delle perle di vetro” (1943) – chiama “appendicistica”, cioè di fatua banalizzazione divulgativa, di perdita del centro in grado di unificare le più svariate esperienze e prospettive, e insomma: di fine dell’umanesimo. Abbiamo assistito impotenti alla meccanizzazione e alla mercificazione dell’esistenza; all’incredulità dei popoli, disorientati da informazioni contraddittorie e massacrati da decenni di disillusioni, ma per altri versi fin troppo ingenui o indifferenti; alla falsità istituzionale assurta al comando del pianeta. La menzogna viene creduta sulla parola, mentre per la verità non bastano neppure le prove! Ci sentiamo tutti stranieri, anzi: esuli.
Conoscendoti, hai sicuramente scrittori da citare in proposito…
Certo! Penso subito alle parole profetiche di Pasolini, quando scrive del desiderio nostalgico di “qualcosa che contraddica la vita come si va configurando all’uomo moderno, la sua grigia orgia di cinismo, ironia, brutalità pratica, compromesso, conformismo, glorificazione della propria identità nei connotati della massa, odio per ogni diversità, rancore teologico senza religione…” Noi ci chiediamo inutilmente: quando finirà questa discesa nell’abisso? Questa insipienza che raccoglie consensi e suscita applausi? Questo vuoto pneumatico generalizzato? La guerra comincia nella testa delle persone, anche quelle comuni, prima che nei campi di battaglia. Vorremmo poter aderire alle parole pronunciate da E. Montale mentre riceveva il Nobel, nel dicembre 1975: “Ma non è credibile che la cultura di massa per il suo carattere effimero e fatiscente non produca, per necessario contraccolpo, una cultura che sia anche argine e riflessione”. Eppure, quale possibilità ha l’individuo in un mondo di inaudita e indicibile complessità, in cui i condizionamenti esterni sono diventati così schiaccianti che i moventi interni non hanno più alcun peso?
Che risposte ti dài?
Una sola risposta auspicabile: svegliandosi e cominciando ad agire bene, cioè nel modo giusto, fin dalle minime cose. Abbinando quantità a qualità. Costruendo cultura autentica “dal basso”, con un movimento ascensionale come quando la balena riemerge dagli abissi dell’oceano. Citerò un altro scrittore, l’americano R. Pirsig: “Qualsiasi lavoro tu faccia, se trasformi in arte ciò che stai facendo, con ogni probabilità scoprirai di essere diventato per gli altri una persona interessante e non un oggetto”. Questione di qualità, cioè di adesione profonda tra forma e sostanza: a tal fine mira il discorso di Pirsig. Così fa anche l’artista quando opera all’altezza del suo appello interiore, esprimendo valori mediante simboli in vicendevole rapporto, come le onde di uno stesso mare. E appunto la qualità è assimilabile a un’onda. Continua Pirsig: “quel lavoro di Qualità che pensavi nessuno avrebbe notato viene notato eccome, e chi lo vede si sente un poco meglio: probabilmente trasferirà negli altri questa sua sensazione e in tal modo la Qualità continua a diffondersi. È così che il mondo può migliorare”.
In questo si possono rintracciare le radici del cosiddetto “impegno”?
Sì, attraverso strade più o meno programmatiche, ma ciò che conta è l’attitudine, il pensiero che muove il percorso, il ritmo del suo andamento. Ci sono equilibri invisibili e sottili che maturano in silenzio attorno a noi. Abbiamo il potere di spostarli, sia pure impercettibilmente, con i pensieri, le parole, le scelte e le azioni di ogni giorno. Dice un adagio popolare: “fai bene le cose ordinarie, e per magia ti ritroverai a fare cose straordinarie”.
Impegno, popoli, sviluppo e non progresso, alienazione e non partecipazione, declinati con uno degli aspetti umani che finalizzano tutto ciò alla gestione del potere, la lotta delle classi e la politica: come li affronta/risolve lo spirito di Moby Dick/Marco Onofrio?
Con la consapevolezza che cultura “è” politica, nella misura di una implicazione totale nelle memorie, nelle vicissitudini e nei destini di tutti gli esseri umani, nessuno escluso. Così come noi votiamo anche decidendo di acquistare o no un prodotto commerciale, facciamo politica anche leggendo un libro o vedendo un film che ci aprono la mente, ci rendono più consapevoli, lucidi, combattivi. Il potere della gente è maggiore di quello della gente di potere: se solo si unissero le forze, passando indenni attraverso le reti di contenzione che le oligarchie tessono per mantenere lo status quo di ingiustizia, il futuro del mondo potrebbe davvero essere migliore.
Che cos’è infine, per te, la cultura?
Uno spazio di condivisione e resistenza umana al pericolo incombente della barbarie. Abbiamo la speranza e la convinzione che le tenebre non prevarranno: noi lottiamo per la luce! È anche questo il significato profondo del Premio “Moby Dick”…
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Un operatore dell’informazione. Un attivista culturale impegnato a diffondere le buone pratiche che aumentano ed estendono la fruizione del miglior bene immateriale di cui l’umanità dispone: il sapere, la conoscenza, la cultura. Questo il mio intimo a cui mi ispiro e la mia veste “giornalistica”. Professionalmente provengo da esperienze “strutturate” come sono gli Uffici Stampa pesanti: La Lega delle Cooperative, Botteghe Oscure. Ma anche esperienze di primo impatto: Italia Radio; e il mondo delle Rassegne Stampa cooperativa DIRE, Diretel, Rastel, Telpress. Per la carta stampata oltre una esperienza “in proprio” come direttore scientifico della rivista “Vini del Lazio”, ho collaborato con Paese Sera, con L’Unità, con Oggi Castelli.
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