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Raige si racconta: “la morte dell’artista è la psicoanalisi”
31/01/2021Questo articolo è stato letto 1523 volte!
In occasione dell’uscita di Cartagine, abbiamo incontrato Raige che ci ha raccontato il suo nuovo progetto musicale e la nuova veste di direttore artistico di altri giovani talenti.
Raige so che tu non vuoi mai spiegare i tuoi brani, ma voglio sapere come è nata Cartagine e perché gli hai dato questo titolo.
Il titolo è una metafora. Parla della fine di una storia importante per me. Cartagine durante le guerre puniche fu distrutta, anche se si ritiene essere un falso storico. Secondo me la storia di Cartagine rendeva l’idea di questo rapporto che stavo vivendo.
Anche nel tuo album precedente Affetto Placebo erano presenti molte metafore che descrivevano le tue emozioni. Rispetto a quell’album sei cambiato artisticamente?
Sì, per me Affetto Placebo è un album di transizione avevo ritrovato la mia dimensione come essere umano. Venivo da un’esperienza in major molto importante di 4 anni e nell’ultimo periodo le mie intenzioni e quelle della major non erano le stesse. Affetto Placebo è un po’ uno sfogo, è molto di pancia. Ora non sono legato a nessuno, la musica che faccio è più misurata, è sempre frutto di un’esigenza artistica ma ho più tempo per curarla. Decido di uscire con qualcosa quando ne sono convinto.
Ti sei sempre distinto dalla massa e sei stato restio alle regole. Questo tuo essere “fuori dal coro” è stato più un vantaggio o uno svantaggio per la tua carriera?
Sicuramente è stato un ostacolo per la mia carriera, ma me ne frego. Preferisco stare bene con me stesso e dire sempre quello che penso senza rimuginare sulle cose. Ho fatto il politically correct quando ero in major perché avevo bisogno di un sostegno, di un appoggio. Io sono un personaggio schietto, ruvido preferisco essere me stesso sempre. Viviamo in un periodo in cui nessuno ha tempo, quindi non possiamo stare dietro ai non detti, ai sotterfugi per apparire quello che non si è. I social sono l’estremizzazione di questo. Tutti fanno finta di essere modelli, modelle, influencer sono per arricchirsi di follower ed è un problema sociale secondo me. Perché l’inseguimento dei follower, volere a tutti costi arricchirsi di follower, denota una povertà interiore. Questo per dire che se ti mostri te stesso da subito la gente lo apprezza di più e sei più in pace con te stesso. Anche riguardo la tecnologia sono più ancorato alla vita reale, sono analogico ahahah (ride).
Stiamo scoprendo un Raige anche direttore artistico.… Con quale metro di giudizio scegli i ragazzi da seguire?
Nella mia vita solo due volte sono stato direttore artistico. L’ho fatto in major e ultimamente l’ho fatto con Carola, cantante emergente. Mi affaccio a questa cosa con grande umiltà, lo faccio cercando di fare quello che avrei voluto avessero fatto con me. Quello che mi muove a seguire un ragazzo è che tendenzialmente deve avere qualcosa che mi colpisce. Carola non scrive, non è una cantautrice, è un’interprete però io vedo che ha qualcosa da comunicare. Quando fai questo mestiere hai un mostro, un problema irrisolto. La morte dell’artista è la psicanalisi, perché lo psicoanalista ti toglie i mostri che hai e se non hai più quella roba lì non hai più nulla da dire. Con l’arte esprimi i tuoi mostri, i tuoi disagi. Quando un tuo mostro si incontra con quello dell’artista si crea la connessione perfetta tra ascoltatore e cantante. Il mostro di Carola mi ha impressionato, mi è arrivato forte in faccia e lo vedo quando canta. Io l’ho indirizzata voi e l’ho aiutata a canalizzarlo. Quando ascolto una canzone analizzo molto le parole usate, sono molto critico in questo perché è il mio settore.
Quando scrivi un brano per qualcun altro qual è il tuo approccio lavorativo?
Le canzoni più belle che io ho scritto e poi ho donato ad altri sono quelle che scrivo per me. Mi spiego meglio, scrivo perché ho voglia di scrivere e lo faccio come se fossero canzoni che vorrei cantare io. Poi per una serie di motivi non le canto io, se è una canzone molto forte voglio che la canti un super artista. Conscio della mia dimensione artistica non la canto io e la faccio cantare ad altri. Le rare volte in cui scrivo con gli artisti vengono fuori cose non bellissime. Io sono molto ingombrante e lascio poco spazio di manovra sulle parole, io ho tolto delle canzoni ad altri perché secondo me non le cantavano come si doveva o perché volevano cambiare il testo. Se tu porti un miglioramento nel testo oggettivo, ed è avvenuto ad esempio con Tiziano Ferro, tiro giù la testa e accetto la modifica.
Per la ricerca del lessico nelle canzoni, è stata una cosa naturale o ci hai dovuto lavorare?
Un po’ di mestiere lo impari. Scrivere canzoni non è facile, perché magari su una frase ci stai tanto tempo. In alcuni momenti è anche snervante. Se scrivo con autori che non hanno un mostro compatibile con il mio difficilmente scrivo bene, o meglio, faccio il compito, gioco di mestiere. Imparo nuovi linguaggi a seconda dell’artista che ho di fronte. Il linguaggio lo interpreti anche in base a quello che hai in mente di fare con quella canzone. Quando ho scritto “lasciale andare” che poi è diventata “il mestiere della vita” io lo sapevo che era una hit. Lo capisci subito se è una grande canzoni. Stessa cosa per la canzone di Luca Carboni, Elodie, Nek o “Direzione la vita” per Annalisa. Lo sai che sono canzoni superiori, te ne accorgi. A quel punto devi trovare l’artista giusto a cui affidarle.
A volte non hai paura di svelare troppo di te stesso o del tuo vissuto nelle canzoni?
Io credo che ci sia un solo modo di fare il cantautore, devi raccontare te stesso, quello che vivi. La mia personale teoria è un giorno vivi, uno scrivi. Non so dirti da cosa nasce l’arte, sicuro non nasce dalla felicità, dalla solitudine. Può nascere nella solitudine ma nasce dalla condivisione.
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Laureata in Informazione, Editoria e Giornalismo e in DAMS. Attualmente collabora con Bellacanzone.it, Roma Tre Radio, emittente ufficiale dell’ateneo Roma Tre dove ricopre diversi ruoli: speaker, regista e redattrice.
Grande appassionata di musica e televisione. Studia canto da 8 anni e ascolta musica di tutti i generi perché per lei non ha confini.
È stata inviata al Festival di Sanremo nel 2018, 2019 e 2020.