Marino.“Nanneddu meu…”, Gramsci cantato, e raccontato da d’Orsi

Marino.“Nanneddu meu…”, Gramsci cantato, e raccontato da d’Orsi

04/11/2019 0 Di Maurizio Aversa

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Scor­cio del­la sala del Tea­tro Vit­to­ria Colon­na — il pub­bli­co — duran­te “Un Gram­sci mai visto”


Ieri, al Tea­tro “Vit­to­ria Colon­na” di Mari­no, altro suc­ces­so per la due gior­ni su Gram­sci nel­la cit­tà del vino e del­la Sagra dell’uva. Nel buio del­la sala, una man­cia­ta di note vie­ne dif­fu­sa sul­le orec­chie degli spet­ta­to­ri. Una soa­ve voce fem­mi­ni­le che susci­ta for­te emo­zio­ne per l’interpretazione, ina­nel­la stro­fe di una nenia in sar­do. “Nan­ned­du meu su mun­do ar gai”, che sta per Nan­ned­du (bim­bet­to, pic­co­li­no) mio così va il mon­do. “Ter­ra ch’a fan­gu tor­rat su pove­ru, senz’alimentu, sen­za rico­ve­ru” che equi­va­le a Il pove­rac­cio è mal­ri­dot­to pri­vo di cibo e sen­za tet­to. Si alza­no le luci, si illu­mi­na la sce­na ed il pub­bli­co vede sul lato destro, San­dro Chia­ret­ti alla chi­tar­ra, Umber­to Trin­ca alla fisar­mo­ni­ca, e, al cen­tro la stu­pen­da Sara Ada­mi. Le inter­pre­ta­zio­ni che via via segui­ran­no saran­no il giu­sto con­trap­pun­to al disve­lar­si del rac­con­to di vita, di pas­sio­ne e sof­fe­ren­za, di tumul­tuo­si­tà del pen­sie­ro e del suo for­mar­si e ri-gene­rar­si nel­le diver­se fasi – ora in sali­ta, ora for­tu­no­se, ora incre­di­bi­li, fino alle dram­ma­ti­che e tra­gi­che – che han­no fat­to di Anto­nio Gram­sci uno dei più gran­di intel­let­tua­li e pen­sa­to­ri del nostro Pae­se e del mon­do inte­ro. Il rac­con­to, sul­la sce­na vie­ne snoc­cio­la­to, sen­za testo scrit­to e sen­za copio­ne con­trol­la­to da alcun regi­sta, diret­ta­men­te dal prof. Ange­lo d’Orsi. Lo stes­so che è auto­re del cor­po­so, sedi­men­ta­to per anni nel­la sua costru­zio­ne – come ha rive­la­to il gior­no pre­ce­den­te a Biblio­Pop alla presentazione/dibattito del libro “Gram­sci, una nuo­va bio­gra­fia”. (Che, a con­fer­ma del­la neces­si­tà di Gram­sci, anche in que­sta sede tea­tra­le è sta­to pre­no­ta­to per l’acquisto). E cosa fa l’intellettuale, stu­dio­so, pro­fon­do cono­sci­to­re del­la vita e dell’opera gram­scia­na? Ange­lo d’Orsi svol­ge il ruo­lo di un “qua­si voce fuo­ri cam­po”. Nel sen­so che la sua pre­sen­za, lì sul­la sce­na a sini­stra con quel­la pic­co­la scri­va­nia dove si “imper­so­ni­fi­ca con Anto­nio Gram­sci, fino ad annun­cia­re la pro­pria stes­sa mor­te”, e dove pan­nel­li posti su un caval­let­to che mano a mano ven­go­no cam­bia­ti duran­te le fasi di vita di Gram­sci – qua­si ad emu­la­re i rac­con­ti dif­fu­si da mene­strel­li e can­ta­sto­rie come un ripor­ta­to in vita Igna­zio But­tit­ta – non per­se­guo­no moven­ze tea­tra­li, ma nel­la essen­zia­li­tà del­la sce­na e del mes­sag­gio, fan­no emer­ge­re tut­ta la poten­za nar­ra­ti­va pro­prio del con­te­nu­to. Con­te­nu­to fat­to di vita, di san­gue, di sof­fe­ren­ze, di viag­gi, di tor­men­ti, di gio­ie, e di quel­le gran­di nega­te. Fat­to dei capi­tom­bo­li del­la vita, sem­pre impen­sa­ta fino ad un atti­mo pri­ma dell’accadimento, per il nostro pro­ta­go­ni­sta Anto­nio Gram­sci. Così vie­ne rap­pre­sen­ta­ta la vera poten­za che è insi­ta in que­sto libro/spettacolo disve­la­to secon­do l’artemista del rac­con­to del pen­sie­ro. Vie­ne da chie­der­si, infat­ti, se non ci fos­se­ro sta­ti quei con­te­sti, maga­ri Gram­sci avreb­be pri­vi­le­gia­to la sua atten­zio­ne inve­ce che su Machia­vel­li, pro­prio su colo­ro che lo addi­ta­ro­no come empio indi­can­do che il Prin­ci­pe “fu scrit­to col dito del dia­vo­lo”: la Chie­sa. Inve­ce no, il fiu­me del­la vita di Anto­nio Gram­sci l’ha con­se­gna­to alla sto­ria dell’umanità al pen­sie­ro poli­ti­co moder­no, in tut­ta la sua vigo­ria l’ha fat­to gui­da – anco­ra oggi neces­sa­ria, sot­to­li­nea ad ogni occa­sio­ne Ange­lo d’Orsi – del pen­sie­ro mar­xi­sta e del­la let­tu­ra e appli­ca­zio­ne del fare poli­ti­ca e del per­se­gui­men­to dell’egemonia, nel­la chia­ve “dif­fe­ren­zia­ta”, in que­sta par­te del mon­do dove c’è il capi­ta­li­smo matu­ro. Quin­di l’Italia, l’Europa, il mon­do occi­den­ta­le. E, attua­liz­zan­do, il poten­te mes­sag­gio del libro mes­so in sce­na con­se­gna ai pro­ta­go­ni­sti che voglio­no sce­glie­re di con­ti­nua­re ad alza­re i ves­sil­li del socia­li­smo e del comu­ni­smo, è il for­te dram­ma­ti­co appel­lo all’unità nel­la diver­si­tà, e alla pazien­te costru­zio­ne di un amplis­si­mo fron­te cul­tu­ra­le che sia base, humus, pre­mes­sa, per lo svi­lup­po di pode­ro­si, cer­ti, con­te­nu­ti che non pos­so­no che esse­re quel­li del­la sto­ria del movi­men­to ope­ra­io. Non a caso, le infram­men­ta­zio­ni uti­liz­za­te in alter­nan­za ai momen­ti del rac­con­to (tut­to svol­to sen­za alcun sot­to­fon­do musi­ca­le) sono sta­ti bra­ni sto­ri­ci, emble­ma­ti­ci che ogni ope­ra­io, ogni appar­te­nen­te al popo­lo del­la sini­stra, ogni atti­vi­sta dell’idea socia­li­sta e comu­ni­sta nei tem­pi ha avu­to modo di can­ta­re, ad una mani­fe­sta­zio­ne inve­ce che ad una festa popo­la­re, ad un appun­ta­men­to solen­ne con­gres­sua­le o duran­te l’occupazione di una scuo­la o di una fab­bri­ca: “Dim­mi bel gio­va­ne”, “E per la stra­da”, ”L’Internazionale”, “Can­to dei con­fi­na­ti”, “Can­to del mar­ti­rio”, fino alla anti­fa­sci­sta “Festa d’Aprile”, e poi, — come com­men­ta d’Orsi – alla can­zo­ne di lot­ta più bel­la “Bel­la ciao”. Così, si è svol­ta, con applau­si a sce­na aper­ta natu­ral­men­te, con pathos cal­do vis­su­to dal­la sala (in veri­tà fred­da ahi­noi!), con i rin­gra­zia­men­ti fina­li affat­to for­ma­li. Dell’Anpi, di Acab, di Ita­lia Cuba, ver­so tut­ti: il pub­bli­co, gli arti­sti, Ange­lo d’Orsi, Sabi­na Bar­zi­lai, il con­si­glio comu­na­le, e gli ospi­ti del­la Amba­scia­ta di Cuba, di Ita­lia Cuba nazio­na­le, dell’Anpi pro­vin­cia­le. Per que­sto, dopo d’Orsi, Mau­ro Avel­lo ha ricor­da­to che con­ti­nue­rà il per­cor­so cul­tu­ra­le e poli­ti­co di pre­sen­za a Mari­no per valo­riz­za­re sia il pen­sie­ro di Anto­nio Gram­sci, che da oggi è anco­ra più vici­no a noi che in pre­ce­den­za, che per tut­te le altre ini­zia­ti­ve che saran­no uti­li ad irro­bu­sti­re la dif­fu­sio­ne cul­tu­ra­le tra com­pa­gni e cit­ta­di­ni, a comin­cia­re a chi ne è più distan­te per osta­co­li o sot­to­va­lu­ta­zio­ni. A Gram­sci que­sto impe­gno avreb­be dato sol­lie­vo e spe­ran­za lai­ca.

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