Lettera disperata di un ambulante romano: non meritiamo di essere trattati così

Lettera disperata di un ambulante romano: non meritiamo di essere trattati così

23/05/2019 2 Di Marco Montini

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Ecco­lo, il tan­to desi­de­ra­to ven­to del cam­bia­men­to è arri­va­to. Sì, a Roma è arri­va­to e ha sof­fia­to via la mia vita. “ Sen­za “se” e sen­za “ma”, il cam­bia­men­to deve anda­re avan­ti, si tie­ne la bar­ra drit­ta e non si arre­tra di un mil­li­me­tro.” Così è sta­to det­to, così è sta­to fat­to, sen­za pen­sa­re che tra quei “se” e quei “ma” c’era la vita di oltre mil­le fami­glie (alme­no 4000 per­so­ne). Così sono arri­va­te le mie lacri­me, lacri­me di rab­bia e ama­rez­za, le lacri­me di chi cre­de ma, soprat­tut­to, sa di esse­re nel giu­sto. Riman­go­no solo tan­ti ricor­di, il pre­sen­te è tri­ste, il futu­ro che vede­vo qual­che anno fa non c’è più. Tut­to è fini­to, tut­to è cam­bia­to, can­cel­la­to con un col­po di spu­gna. Ho pau­ra, tan­ta, per me, per la mia fami­glia. Non è giu­sto quel­lo che stan­no facen­do, non è giu­sto fare di tut­ta l’erba un fascio.

IO NON MERITO DI ESSERE TRATTATO COSÍ.

Io che ho sem­pre rispet­ta­to le rego­le, paga­to rego­lar­men­te le tas­se, ho tenu­to sem­pre puli­ta la posta­zio­ne a me asse­gna­ta. La mia atti­vi­tà che van­ta più di cen­to anni di sto­ria, ridot­ta a poco più di nien­te. Io sono una di quel­le pic­co­lis­si­me impre­se di cui tan­to si par­la, quel­le che costi­tui­sco­no l’ossatura dell’imprenditoria ita­lia­na, quel­le che devo­no esse­re tute­la­te per far ripar­ti­re il pae­se. Ebbe­ne sì, nei fat­ti quel­la stes­sa impre­sa che l’amministrazione del­la capi­ta­le sta facen­do mori­re gior­no dopo gior­no, prov­ve­di­men­to dopo prov­ve­di­men­to.

Tutti devono sapere cosa sta avvenendo a Roma.

La pic­co­lis­si­ma atti­vi­tà di com­mer­cian­te ambu­lan­te del­la qua­le sono tito­la­re, una del­le sto­ri­che rota­zio­ni, pre­ci­sa­men­te la “A”, che dal pri­mo dopo­guer­ra e fino a pochi mesi fa era pre­sen­te in modo capil­la­re sul ter­ri­to­rio roma­no, lun­go le sue stra­de, tra i suoi vico­li tra la gen­te e per la gen­te, rischia di soc­com­be­re a cau­sa di discu­ti­bi­li delo­ca­liz­za­zio­ni e, incre­di­bi­le ma vero, a cau­sa di una pro­po­sta di deli­be­ra che sem­bra rifar­si alla Bol­ke­stein.

Ora tene­te­vi for­te: l’ultima tro­va­ta dell’amministrazione capi­to­li­na è quel­la di sosti­tui­re le nostre licen­ze a “rota­zio­ne” con con­ces­sio­ni a “posteg­gio fisso.”Ci sen­tia­mo ingan­na­ti e tra­di­ti da chi, qual­che mese fa, ci ras­si­cu­ra­va che i nostri tito­li non sareb­be­ro sta­ti toc­ca­ti. Però dob­bia­mo esse­re com­pren­si­vi: sono costret­ti a far­lo poi­ché sono mol­tis­si­mi i posteg­gi in tut­ta la cit­tà e, la rota­zio­ne degli stes­si, pro­vo­ca gran­di dif­fi­col­tà per l’accertamento dei prin­ci­pi di lega­li­tà e tra­spa­ren­za. C’è il rischio rea­le che soprat­tut­to ai pia­ni più alti si fac­cia una gran con­fu­sio­ne tra tito­la­ri, non tito­la­ri, affit­tua­ri, tur­na­zio­ni etc. Per cor­ret­tez­za vi infor­mo che, duran­te i sopral­luo­ghi per que­ste bene­det­te delo­ca­liz­za­zio­ni, si con­fon­de­va­no addi­rit­tu­ra i posteg­gi degli abu­si­vi con quel­li dei rego­la­ri. Quin­di le nostre tan­to ama­te “rota­zio­ni” sono desti­na­te a subi­re una sor­te di meta­mor­fo­si Kaf­kia­na: ver­ran­no sosti­tui­te con con­ces­sio­ni a posto fis­so, da indi­vi­dua­re o all’interno dei mer­ca­ti (devo segna­lar­vi, però, che i mol­ti posti libe­ri sono tali poi­ché altri pri­ma di noi han­no già chiu­so) o in posteg­gi iso­la­ti fis­si, la cui sola defi­ni­zio­ne la dice tut­ta sul gran nume­ro di per­so­ne che fre­quen­ta­no que­ste stra­de, vie, piaz­ze. Mah! Ora la doman­da sor­ge spon­ta­nea: in posti iso­la­ti, io che ci vado a fare? A incas­sa­re die­ci o ven­ti euro io non vado. La digni­tà, quel­la del famo­so decre­to, io, noi, anco­ra l’abbiamo.

Die­tro ogni licen­za si dimen­ti­ca con trop­pa faci­li­tà che ci sono le fami­glie, i loro mutui, i bam­bi­ni da fare gran­di, a vol­te, pur­trop­po, anche spe­se medi­che costo­se e impor­tan­ti. Noi, brut­ti rego­la­ri, sia­mo sta­ti delo­ca­liz­za­ti e allo­ra i pove­ri abu­si­vi, per tene­re il pas­so, si stan­no già delo­ca­liz­zan­do, a loro vol­ta, sul­le nostre vec­chie posta­zio­ni, sicu­ra­men­te miglio­ri dal pun­to di vista com­mer­cia­le. Tut­ti han­no il dirit­to di lavo­ra­re, ci man­che­reb­be altro!

Evvi­va la lega­li­tà, la tra­spa­ren­za e l’onestà!

Noi, inve­ce sia­mo gli inde­co­ro­si, i van­da­li che occu­pa­no mar­cia­pie­di, che non sono in rego­la con il codi­ce del­la stra­da, quel­li che non rispet­ta­no la giu­sta distan­za tra il mar­cia­pie­de e il palaz­zo. Meglio gli abu­si­vi che uti­liz­za­no quat­tro car­to­ni a ter­ra per siste­ma­re la loro pre­zio­sa mer­ce e che appe­na sen­to­no lon­ta­na­men­te odo­re di con­trol­li, in men che non si dica, lascia­no libe­re piaz­ze e vie.

Agli abu­si­vi di Piaz­za Navo­na io darei addi­rit­tu­ra un pre­mio: non pog­gia­no la mer­ce a ter­ra, ma sono orga­niz­za­ti in modo da tene­re tut­to sul­le mani e, i più volen­te­ro­si, han­no zai­ni o buste dove custo­di­sco­no altri colo­ri o model­li del­le mer­ci ogget­to di com­pra­ven­di­ta. La clien­te­la va sem­pre sod­di­sfat­ta!

Io, per­so­nal­men­te, non mi sen­to inde­co­ro­so, ma  sicu­ra­men­te non me ne accor­go.

Voi che dite? Ten­go il mio fur­go­ne puli­tis­si­mo e i teli del mio ban­co di un bel vel­lu­to ros­so ven­go­no lava­ti una vol­ta a set­ti­ma­na. Mi impe­gno ad alle­sti­re la mia ban­ca­rel­la di bor­se e por­ta­fo­gli nel miglio­re dei modi, cer­co di esse­re gen­ti­le e sor­ri­den­te con roma­ni e turi­sti. Io amo il mio lavo­ro; io amo Roma che mi ha adot­ta­to più di trent’anni fa e mi ha reso feli­ce.

Qui sono nate e cre­sciu­te le mie figlie. Come uomo for­se avrei già mol­la­to, ma come papà no. Non pos­so per­met­ter­lo; ci sono i loro stu­di, i loro sogni, il loro sor­ri­so. Que­sta situa­zio­ne mi met­te pau­ra, i col­le­ghi, pri­ma ami­ci e poi col­le­ghi, sono dispe­ra­ti, sia­mo ad un pas­so dal fal­li­men­to, non solo di un’azienda ma di una vita inte­ra fat­ta di sacri­fi­ci e tan­ta fati­ca. Sono spa­ven­ta­to per­ché quan­do tut­te le vie d’uscita ven­go­no chiu­se, si può pro­va­re anche a sfon­da­re un muro.

Sem­pre fie­ro di esse­re un ambu­lan­te,

Alfre­do Pati­tuc­ci

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