Il Partito Democratico Pantelleria, ha avuto modo di attenzionare i dati forniti dal geom. Gambino…
Pantelleria, autismo. Michela Silvia: appello per il ‘Dopo di noi’ alla Regione Sicilia
26/04/2019Questo articolo è stato letto 4419 volte!
Da Michela Silvia, mamma pantesca e donna impegnata sul sociale a 360° con l’Associazione Ecoitaliasolidale, non solo a Pantelleria, viene una riflessione profonda e toccante sull’importanza di comunità-alloggio familiari che possano accogliere i ragazzi autistici, ormai uomini, alla scomparsa dei genitori.
Un appello inviato all’Assessorato Regionale alla Salute della Sicilia, nella persona dell’Assessore Ruggero Razza e dell’Assessorato alla Famiglia, alle Politiche Sociali e del Lavoro, di Antonio Scavone. Un appello che è condiviso da migliaia di famiglie italiane, siciliane e pantesche.
di Francesca Marrucci
Cosa significa avere un figlio autistico e pensare non solo a come organizzare la vita di tutti i giorni dell’intera famiglia in sua funzione, ma soprattutto cosa significa vivere con la preoccupazione ed il pensiero costante di cosa ne sarà una volta che rimarrà solo al mondo?
Per chi non conosce l’esperienza dei genitori con bimbi e ragazzi autistici o con altri tipi di disabilità, il problema sembra lontano, quasi un’astrazione, ma chi vive il bisogno di un riferimento quotidiano come queste famiglie, l’angoscia di cosa può succedere ad un ragazzo ‘dopo’ è costante.
Di questo argomento, che conosce bene e vive in prima persona, non solo come mamma, ma come Presidente dell’Associazione Ecoitaliasolidale di Pantelleria, Michelangela Silvia ha scritto in un accorato appello inviato agli assessorati alla Salute e alla Famiglia della Regione Sicilia, in attesa del tavolo con l’amministrazione comunale che si dovrebbe tenere a maggio, proprio per individuare dei locali per creare un centro per ragazzi disabili.
”Il dramma è ‘dopo di noi’,” ha scritto non casualmente, riferendosi alla legge che prevede la sistemazione in case-famiglia o piccole comunità di ragazzi o adulti disabili, rimasti senza famiglia. È chiaro che l’esperienza personale diventa il motore più forte, a livello pratico ed emotivo, per chiedere a gran voce che ci si adoperi per questi ragazzi: “Che importa se non vuoi più frequentare la scuola, se non conosci l’emozione di un esame di maturità o la gioia di un’assunzione al lavoro. Se non guidi la macchina, non contesti i programmi dei politici, non ti alleni in piscina, non hai il bancomat, perché non concepisci l’importanza di averlo. Tu sei la mia sfida con qualsiasi metodo e impegno educativo che stimoli e recuperi, anche se a piccolissimi passi, le capacità latenti di autonomia che certamente sono in te.” Con questa dichiarazione d’amore al figlio si apre l’appello di Michela Silvia, che continua elencando alcuni dei problemi a cui deve andare incontro una famiglia con un ragazzo autistico.
“Quali sono le difficoltà del vivere quotidiano con un autistico? Tenerli in casa significa dover smontare i rubinetti, potrebbero aprirli e non essere in grado di chiuderli. Le porte non possono avere maniglie né chiavi, il rischio è che si chiudano dentro. Le maniglie dalle finestre vanno smontate, potrebbero affacciarsi e farsi male. Detersivi, candeggina e oggetti pericolosi vanno nascosti, rappresentano un rischio per loro. Le vacanze cosa saranno?
Il cinema, le serate in compagnia di amici, saranno sogni. Le notti insonni, la vita senza intervalli, senza domeniche non sono un problema. Il punto è che mentre l’autistico è diventato un uomo di 40 anni il tempo è passato anche per i genitori. È l’invecchiamento progressivo dei genitori la vera preoccupazione. La difficoltà di sostenere il carico assistenziale a causa della progressiva perdita di energie e risorse che si deteriorano con il passare degli anni e che ci rende incapaci di dare al ragazzo disabile i giusti stimoli.”
L’autismo non è una malattia da cui si guarisce. Ad oggi non esiste un dato sull’incidenza reale dell’autismo, ossia il disturbo permanente dello sviluppo che compromette il funzionamento del cervello e si caratterizza con disturbi della comunicazione verbale e non verbale, del comportamento, dell’integrazione e della relazione, si manifesta nei primi tre anni e dura tutta la vita.
Secondo i dati presentati nel 2012 dall’Iss, l’Istituto superiore di sanità, colpisce oltre 10 bambini ogni 10.000 e se si considerano tutti i disturbi dello spettro autistico, la prevalenza supera i 40 casi ogni 10.000. Rimangono però grandi lacune nei dati che riguardano gli adulti, perché gli adulti autistici sono come dei fantasmi: le diagnosi di autismo dopo i 18 anni di età subiscono un crollo.
“Gli autistici in età adulta non vanno a scuola, non lavorano e sono orfani di sanità,” continua la Silvia. “Non possono farsi sentire e nessuno se ne accorge. Per loro mancano i riferimenti sanitari: non hanno più l’età per essere seguiti dai neuropsichiatri infantili e neppure gli psichiatri possono fare molto perché la loro è una ”diversa’’ disabilità.
Tutto questo vuoto produce un carico esorbitante che ricade sulle famiglie. È il dramma del diciottesimo anno di età, quando si trovano ad essere trattati come disabili generici. Per loro non esiste più nessuno specifico riferimento di servizi e in questo modo rischiano di perdere l’autonomia acquisita. Le case si trasformano in piccoli manicomi, una sorta di prigionia in cui mentre i genitori sono agli arresti domiciliari, l’autistico va in crisi o viene messo a tacere con dosi di farmaci, comunque lesive alla salute, per sopperire alla carenza di servizi loro dedicati. Ci troviamo di fronte ad un rapporto biologicamente scorretto in cui i genitori hanno l’età da nonni e avrebbero loro stessi bisogno di cure e alleggerimento di responsabilità, ma di fatto devono subire un carico assistenziale troppo elevato.”
Il quadro rappresentato dalla Presidente di Ecoitaliasolidale è drammatico, crudo, ma estremamente reale. Così come sono reali ed estremamente concrete ed urgenti le richieste che vengono presentate nell’appello per dare un futuro e soprattutto una dignità a questi figli.
“Per rendere la nostra quotidianità più semplice e più serena, basterebbe, ad esempio, uno studio epidemiologico per anni ed età che consenta di censire le persone colpite da autismo, diagnosi specifiche e oltre i 18 anni, perché non vengano trattati come disabili generici costretti a concludere la loro vita in istituti psichiatrici generalizzati.
Un coordinamento tra pediatri, medici di famiglia e geriatri, dato che l’autistico può vivere fino a 100 anni. Siamo noi genitori a chiamare il medico di base per chiedere la ricetta indicando il calmante più adatto, a farli camminare tutta la notte perché passino le crisi dato che in ospedale vengono accolti in psichiatria, ma non sono pazienti psichiatrici né diversamente abili generici.
Ed ecco cosa chiedo, cosa chiedono le tante famiglie tirate in causa, un futuro che rispetti la dignità delle persone con autismo e delle loro famiglie. All’idea che il figlio resterà solo, molti sono arrivati a pensare che forse andrebbero via sereni se il proprio figlio morisse 15 giorni prima di loro. Ma una madre deve arrivare al punto di pensare questo, di pensare alla perdita del figlio? E allora, quando dico che nella nostra società manca una comunità-alloggio residenziale che possa accogliere disabili adulti affetti da autismo e rimasti senza un valido sostegno famigliare, cosa chiedo, l’impossibile?
È il SOGNO DI TANTI, una struttura specifica gestita da personale qualificato che nasca nel rispetto della tipologia dell’autismo e delle sue espressioni, una vera e propria residenza che accolga anche solo 10 pazienti adulti. La casa sarebbe dotata di un centro occupazionale e offrirà varie proposte abilitative-educative. Sarà anche un polo culturale e di aggiornamento sull’autismo in cui troveranno spazio una biblioteca, un’emeroteca, una sala convegni per dare così anche la possibilità di organizzare corsi di formazione, incontri e approfondimenti per i genitori e per tutti gli interessati. Non chiedo l’impossibile, ma soltanto quel possibile che si possa realizzare.”
E che in un Paese civile si debba chiedere di far valere il diritto di sopravvivere dignitosamente i soggetti più vulnerabili, è già segnale che di strada verso la civiltà ne dobbiamo ancora fare tanta.
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Ho iniziato a 16 anni a scrivere sui giornali locali, per poi crearne uno, Punto a Capo, passando poi ai quotidiani e infine all’online.
Oggi, oltre a dirigere Punto a Capo Online e Punto a Capo Sport, collaboro con altri quotidiani online e dirigo l’Ufficio Stampa di Punto a Capo.
Inoltre, sono traduttrice, insegnante e Presidente della Onlus che pubblica il giornale. Faccio tante cose, probabilmente troppe, adoro scrivere, leggere e viaggiare e ho bisogno sempre di nuovi stimoli, di iniziare nuove avventure e creare nuovi progetti.