L’Opinione di Vincenzo Andraous. IL CORAGGIO DELLA PAURA

L’Opinione di Vincenzo Andraous. IL CORAGGIO DELLA PAURA

27/11/2018 0 Di Redazione

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Ogni tan­to qual­cu­no dei ragaz­zi che incon­tro mi dice: Vin­ce quan­do il gio­co si fa duro cosa fan­no i duri? Rispon­do sem­pre la stes­sa cosa: quel­li che pen­sa­no di esse­re dei duri si sgre­to­la­no, si feri­sco­no, muo­io­no. L’ho sem­pre det­to con con­sa­pe­vo­lez­za, per espe­rien­za diret­ta, soprat­tut­to ai più gio­va­ni, quel­li che pen­sa­no di esor­ciz­za­re le pro­prie fra­gi­li­tà sfi­dan­do irre­spon­sa­bil­men­te la mor­te, e la mor­te pas­sa sem­pre all’incasso. Ho sen­ti­to del ragaz­zi­no che ha scel­to di sfi­da­re la sor­te, di fran­tu­ma­re la pau­ra del vico­lo cie­co, rima­nen­do stri­to­la­to sul­le rota­ie da un tre­no in cor­sa. Ho ascol­ta­to tan­te ver­sio­ni, ma quan­do pen­so a quell’adolescente fat­to a pez­zi per gio­co e per fol­lia cir­con­da­to dagli  sguar­di affa­sci­na­ti e urlan­ti da bar sport, da sta­dio per  inci­ta­re il pro­prio benia­mi­no di tur­no, mi vie­ne in men­te quel nobi­le rus­so dell’era zari­sta a nome Oblo­mov, costui era una bra­va per­so­na, non fece mai male ad alcu­no, tan­to meno lo si sen­tì mai lamen­tar­si.

Sem­pli­ce­men­te, non face­va nul­la, soprav­vi­ve­va a se stes­so, nel più tota­le disco­no­sci­men­to del fare, e così è, quan­do il mon­do adul­to, rima­ne sbi­got­ti­to ma ben pro­tet­to dal­la pro­pria indif­fe­ren­za, tut­to ciò che gli appar­tie­ne come il bene più gran­de dei pro­pri figli, deca­de nell’introvabilità di una scel­ta. Un gio­va­nis­si­mo male­det­to per voca­zio­ne non c’è più, non ha fat­to in tem­po a scen­de­re da que­sto pal­co­sce­ni­co di pie­di­stal­li di car­to­ne, c’è rima­sto sprov­vi­sto di doman­de né rispo­ste, non c’è più, eppu­re stia­mo par­lan­do di un inno­cen­te, un  ragaz­zo costret­to a esse­re il più debo­le, costret­to a rima­ne­re ai mar­gi­ni, costret­to a esse­re esclu­so, una per­so­na schiac­cia­ta dal­l’in­giu­sti­zia, una per­so­na lace­ra­ta e pie­ga­ta dal­l’in­dif­fe­ren­za, non cer­ta­men­te un duro così mala­men­te rac­con­ta­to. Quan­do sia­mo sbat­tu­ti con for­za in fac­cia alla real­tà, si dif­fon­de il fasti­dio di par­lar­ne, di chie­der­ne con­to, incor­ren­do nel­l’er­ro­re di accu­sa­re o sta­na­re a tut­ti i costi la col­pa di uno o del­l’al­tro, mai andan­do a mon­te del pro­ble­ma, al per­ché è acca­du­to, o come è potu­to acca­de­re di esse­re qui pure ades­so a con­ti­nua­re a sba­lor­dir­ci.

Quell’adolescente e la sua sto­ria per­so­na­le riman­go­no segni incer­ti come quan­to è dram­ma­ti­ca­men­te acca­du­to, eppu­re que­sta assen­za è per­ce­pi­ta dai ragaz­zi come una ritua­li­tà, un totem, una pro­va che met­te chia­rez­za, da una par­te chi pen­sa di esse­re incan­cel­la­bi­le  tra omer­tà e indif­fe­ren­za, dall’altra  la tri­bù degli impau­ri­ti plau­den­ti, quel­li che fan­no con­sen­so di par­ten­za e mai di arri­vo, Una sor­ta di sot­to­so­cie­tà dove sem­pre più spes­so il ruo­lo non è rico­no­sciu­to, nep­pu­re il valo­re del­la per­so­na.

L’adulto c’è, esi­ste, eppu­re nel grup­po dei pari, dove la bat­ta­glia infu­ria, non c’è alcun rico­no­sci­men­to, per­ché s’è ina­bis­sa­to con tut­to il suo cari­co di esem­pio-auto­re­vo­lez­za-auto­ri­tà.

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