La scelta della maggioranza dei cittadini del Regno Unito di abbandonare l’Unione Europea rappresenta un colpo drammatico al modello di democrazia costruito nel secondo dopoguerra.
I motivi di questa scelta, al di là delle dinamiche politiche interne, sono sicuramente legati soprattutto all’insoddisfazione di milioni di cittadini verso la loro condizione di vita, alla sensazione dell’assenza di una prospettiva di riscatto e alla ricerca di un capro espiatorio che, questa volta, ha assunto il volto dell’Europa.
L’Unione con le sue timidezze, le sue fragilità e, spesso, con la sua incapacità di dare risposte adeguate ai bisogni di cittadini e imprese ha prestato il fianco a questo rischio.
Ed è un paradosso, costatare come siano state molto spesso proprio le leadership inglesi degli ultimi 20 anni quelle che, con le loro paure, hanno sempre fermato il cammino verso la costruzione di un’Europa unita, forte e protagonista sulla scena globale. Sono state loro ad aver sempre chiesto e lottato per “un’Europa minima necessaria contro un’Europa massima possibile”, tradendo lo spirito di Ventotene.
Ora la scelta britannica rafforzerà in tutta Europa, e forse nel mondo, i populismi, le destre, i nazionalisti che in maniera irresponsabile e illusoria cercheranno di cavalcare il malessere, indicando nel processo di unione il “problema” e non la possibile soluzione. Sarà un movimento popolare e imponente che si alimenterà di un malessere diffuso legato alla situazione dell’economia, a cambiamenti sociali che disorientano e che coinvolgerà in primo luogo le fasce deboli delle popolazioni impaurite, vittime della globalizzazione e cariche di rabbia, perché private di una prospettiva di riscatto. Popoli ai quali, negli ultimi anni, l’Europa è stata indicata come il problema spesso per nascondere con ipocrisia i limiti di politiche nazionali assolutamente inadeguate.
Inadeguate spesso proprio perché nazionali.
Si dice, “ora costruiamo l’Europa politica”. Ma l’Europa politica è fragile perché sono fragili i meccanismi democratici delle decisioni europee. Per quale motivo un cittadino dovrebbe delegare a oscuri meccanismi decisionali la propria sovranità? Nell’era della rete, della velocità, della voglia di partecipare e non solo di ascoltare, i meccanismi decisionali dell’Unione appaiono ai più come qualcosa di lontano o incomprensibile. Sono tollerati quando sono percepiti come utili, ma il più delle volte sono derisi e criticati per la loro assoluta impalpabilità o, al contrario, per la loro pesantezza burocratica e per una concezione da molti percepita come vessatoria.
Per far ripartire il processo europeo occorre, innanzitutto, un nuovo slancio improntato a una concezione di sviluppo sostenibile che veda innanzitutto investimenti in opere pubbliche che diano migliori servizi in campi sensibili come la sanità, la scuola o i trasporti, questo è il primo compito dei Governi e bene ha fatto l’Italia a caratterizzarsi su questo obiettivo.
Ma non c’è solo un compito per i Governi. Accanto a questo occorre tra i cittadini saper prospettare una nuova sfida basata su una visone innovativa dei meccanismi democratici: no alla difesa dell’esistente, non solo cambiamento delle politiche, occorre promuovere una nuova svolta, direi una nuova fase costituente
Di fronte all’insoddisfazione che si traduce in distruzione, bisogna essere in grado di proporre un progetto di riedificazione e cambiamento. Se non sarà cosi il destino è scritto.
Contro l’opacità e la lontananza percepita di oggi occorre rendere chiaro chi decide e su cosa. I volti dell’Europa non possono essere solo quelli dei banchieri centrali, dei leader dei Paesi forti, dei commissari indicati dai Governi.
A questo punto della storia, il cittadino europeo deve rientrare in gioco e poter scegliere. Come è stato ricordato in questi giorni, le priorità del movimento federalista europeo non erano le banche, ma la pace e una graduale integrazione politica e sociale.
Occorre dunque coraggio e, ancora una volta, questo coraggio per la sinistra democratica deve ancorarsi all’allargamento della sfera della partecipazione e dell’inclusione sociale. Per questo, occorre costruire un grande movimento di popolo per l’elezione diretta del Presidente degli Stati Uniti d’Europa.
Penso a un movimento “Cambiamo” che veda protagonisti i cittadini per difendere il proprio futuro e i propri diritti; i sindaci e gli amministratori per curare meglio le proprie comunità; gli imprenditori per rilanciare le proprie aziende; il mondo delle rappresentanze per rimettere al centro il tema dello sviluppo della persona attraverso il lavoro; e la risorsa dell’associazionismo, per continuare il percorso europeo di allargamento dei diritti sociali.
Accanto alle piazze della paura e del ritorno al passato, dovranno esserci le piazze della speranza fondate sul cambiamento.
È questa la prospettiva che si deve avere per ripartire. Ognuno dalla propria postazione, ognuno spendendosi, attraverso il proprio impegno quotidiano, per far capire che la dimensione europea è l’unica che ci può permettere di stare nella competizione globale e, insieme, di lottare contro quelle diseguaglianze alla base delle situazioni drammatiche che si stanno vivendo.
Solo un’Europa democratica, plurale, dei diritti e della partecipazione oggi ha un futuro.
Solo se questa idea torna a vivere nelle strade questo sogno potrà realizzarsi e questa consapevolezza deve spingerci tutti all’impegno.
Nicola Zingaretti
Presidente della Regione Lazio