L’Opinione di Vincenzo Andraous. Carcere, recupero o distruzione? Riparazione

L’Opinione di Vincenzo Andraous. Carcere, recupero o distruzione? Riparazione

14/04/2016 0 Di Redazione

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Vincenzo Andraous

Vin­cen­zo Andraous

L’OPINIONE di Vin­cen­zo Andraous

RECUPERO O DISTRUZIONE? RIPARAZIONE

 Chi sba­glia paga è vero, ma la pena deve rispet­ta­re la digni­tà di ognu­no e di cia­scu­no, per­ché ren­de­re chi scon­ta la pro­pria pena un dispe­ra­to, signi­fi­ca alza­re in per­cen­tua­le la reci­di­va, non­ché pri­va­re la socie­tà del­la dovu­ta sicu­rez­za  e pre­ven­zio­ne.

Nel pro­cla­ma­re que­sto Giu­bi­leo spe­cia­le del­la Mise­ri­cor­dia, Papa Fran­ce­sco ha inter­lo­qui­to anche sul car­ce­re ormai ridot­to a un mero con­te­ni­to­re di nume­ri, di cose, di ogget­ti, che impri­gio­na e abbru­ti­sce.

Di rie­du­ca­zio­ne, infat­ti, c’è trac­cia sola­men­te in qual­che ope­ra­to­re ( deb­bo dire pro­fes­sio­nal­men­te avan­ti, sen­za man­ca­re di quel­la uma­ni­tà che mai dovreb­be veni­re meno) per’altro avvi­li­to e in sot­to­nu­me­ro.

Tan­to meno, il Papa, disat­ten­de le vit­ti­me del rea­to: i feri­ti e gli offe­si da quei cri­mi­ni, gli inno­cen­ti, quel­li che spes­so riman­go­no al palo, anch’essi dispe­ra­ti.

Tut­ta­via il dete­nu­to è una “per­so­na” che scon­ta la giu­sta pena, ma che, se aiu­ta­to con­ve­nien­te­men­te, potreb­be ten­ta­re di ripa­ra­re al male per­pe­tra­to.

Rie­du­ca­re e rein­se­ri­re non dovreb­be­ro esse­re sol­tan­to ter­mi­ni astrat­ti o, peg­gio, che sot­to­li­nea­no l’inadeguatezza del nostro siste­ma peni­ten­zia­rio rispet­to al det­ta­to costi­tu­zio­na­le. Il pun­to impor­tan­te è con­sen­ti­re un siste­ma car­ce­ra­rio con­so­no alle aspet­ta­ti­ve del­la col­let­ti­vi­tà, che arrab­bia­ta e delu­sa lavo­ra di pan­cia, pro­prio per­ché il car­ce­re non fun­zio­na, non le leg­gi che inve­ce ci sono, ma spes­so non pos­so­no esser cor­ret­ta­men­te appli­ca­te.

Un car­ce­re come quel­lo attua­le che di fat­to vie­ta per­si­no il sen­tir­si uti­li, respon­sa­bi­li, ave­re del­le pro­spet­ti­ve, figu­ria­mo­ci riap­pro­priar­si di vista pro­spet­ti­ca, di un pro­get­to, un per­cor­so, una stra­da ove rico­min­cia­re a cam­mi­na­re non più di lato, non più con le spal­le al muro, tant’è che al reclu­so man­ca per­si­no il sen­so di que­sta ulte­rio­re e arbi­tra­ria pri­va­zio­ne.

La pena con­si­ste nel pri­va­re del­la liber­tà, non è sca­rac­co di urto alla spe­ran­za.

L’opinione pub­bli­ca ritie­ne che bloc­ca­re un dete­nu­to nell’inazione alie­nan­te sia la fati­ca mino­re, in quan­to coste­reb­be meno in tas­se da ono­ra­re

Que­sto agi­re è fata­le, per­ché quel dete­nu­to non è in una situa­zio­ne di atte­sa, dove il tem­po ser­ve a rico­strui­re e rige­ne­ra­re, ben­sì, egli è fer­mo a un  tem­po bloc­ca­to, al momen­to del rea­to, a un pas­sa­to ripro­dot­to a tal pun­to, che tut­to rin­cu­la a ieri, come se fos­se pos­si­bi­le vive­re sen­za futu­ro, come se deli­ra­re fos­se iden­ti­co a spe­ra­re.

La pena pri­ma o poi ha un ter­mi­ne e sarà neces­sa­rio esser con­sa­pe­vo­li che poi rico­min­cia il viag­gio.  Ma come rico­min­cia­re? Ripren­den­do a devia­re?

Del resto l’art. 27 del­la nostra Costi­tu­zio­ne, decli­na che la pena con­si­ste nel toglie­re la liber­tà, per aiu­ta­re la per­so­na a ripren­der­si, for­nen­do­le stru­men­ti di revi­sio­ne cri­ti­ca per non tor­na­re a delin­que­re.

Ogni rifor­ma, anche quel­la car­ce­ra­ria, richie­de non solo il corag­gio di pen­sa­re in gran­de e di spe­ri­men­ta­re vie nuo­ve, ma anche un impe­gno costan­te nel rea­liz­za­re que­sta sor­ta di uto­pia. Sap­pia­mo bene, quant’è faci­le non guar­da­re a quel che non suc­ce­de nei mean­dri di un peni­ten­zia­rio, anco­ra più como­do non accol­lar­si trop­pi grat­ta­ca­pi per chi ha sba­glia­to e paga giu­sta­men­te il fio.

Tran­ne poi scan­da­liz­zar­si quan­do mol­ti di que­sti sog­get­ti, una vol­ta ritor­na­ti in liber­tà, tor­na­no a com­met­te­re gli iden­ti­ci rea­ti, crean­do nuo­va insi­cu­rez­za.

Allo­ra si auspi­ca ina­spri­men­to del­le pene, car­ce­re duro e quant’altro, con l’unico risul­ta­to di nascon­de­re la veri­tà: quel­la che fa male, per­ché indi­ca la nostra cor­re­spon­sa­bi­li­tà, alme­no quel­la di un silen­zio con­ni­ven­te, di fron­te ai gua­sti dell’attuale siste­ma peni­ten­zia­rio, che mol­ti­pli­ca vit­ti­me e car­ne­fi­ci.

Se voglia­mo che la cri­mi­na­li­tà dimi­nui­sca, biso­gna riflet­te­re tut­ti insie­me sul che fare per ridur­re l’attuale scom­pen­so tra puni­zio­ne e recu­pe­ro, attuan­do una col­la­bo­ra­zio­ne par­te­ci­pa­ta e atti­va.

Memo­ri che il delit­to è anche una malat­tia socia­le e, come tale, neces­si­ta più di un risa­na­men­to che di un’accentuata puni­zio­ne.

Occor­re fare pre­ven­zio­ne pre­zio­sa, affin­ché chi si tro­ve­rà a var­ca­re il por­to­ne blin­da­to di una gale­ra a pena scon­ta­ta, non abbia a ragio­na­re come un ado­le­scen­te: ecco­mi liber­tà, ades­so pos­so ritor­na­re a fare quel­lo che voglio.

Un uomo infan­ti­liz­za­to a pun­ti­no è pro­prio come un ado­le­scen­te irre­spon­sa­bi­le.

E’ urgen­te chie­der­ci se que­sto car­ce­re ha un suo sco­po e una sua uti­li­tà dav­ve­ro con­di­vi­se, soprat­tut­to doman­dar­ci se dal­le sue fau­ci a fine pena, per­ché pri­ma o poi la pena fini­sce, esco­no per­so­ne miglio­ri di quan­do sono entra­te.

Rin­gra­zio Papa Fran­ce­sco ( fra­tel­lo lupo )  per aver­ci costret­ti a ritor­na­re su que­sti temi, che pigri­zia o mala­fe­de vor­reb­be­ro accan­to­na­re.

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