L’OPINIONE di Vincenzo Andraous. VIOLENZA SULLE DONNE: QUOTIDIANITA’ DELLA SOFFERENZA

L’OPINIONE di Vincenzo Andraous. VIOLENZA SULLE DONNE: QUOTIDIANITA’ DELLA SOFFERENZA

03/07/2014 0 Di Redazione

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violenza-sulle-donneL’OPINIONE di Vin­cen­zo Andraous. VIOLENZA SULLE DONNE: QUOTIDIANITA’ DELLA SOFFERENZA

Se ne sta­va lì in un ango­lo del­la stan­za, ran­nic­chia­ta addos­so alla pare­te, come voles­se occu­pa­re uno spa­zio invi­si­bi­le. Una signo­ra con i capel­li argen­ta­ti, una don­na esi­le, fra­gi­le, improv­vi­sa­men­te sola. Men­tre l’ac­com­pa­gna­vo da per­so­ne ami­che dispo­ni­bi­li ad acco­glier­la per la not­te, mi rac­con­ta­va una sto­ria incre­di­bi­le, ma tra­gi­ca­men­te rea­le.

Ogni tan­to le suc­ce­de di scap­pa­re da casa, attra­ver­so i cam­pi rag­giun­ge la cit­tà, per recar­si al pron­to soc­cor­so: le acca­de di non riu­sci­re a muo­ve­re le brac­cia, né pie­gar­si, o respi­ra­re bene. Ogni tan­to suc­ce­de che la testa le cion­do­la sul col­lo, svuo­ta­ta di ogni pen­sie­ro, le gam­be oppon­go­no resi­sten­za, non c’è più sin­cro­nia tra dire e fare, nep­pu­re nel­lo spe­ra­re che le cose pos­sa­no cam­bia­re. Ogni tan­to il mari­to la col­pi­sce for­te, la offen­de e la spin­to­na, per il lavo­ro che non c’è più, per la malat­tia soprag­giun­ta, per lo sfrat­to immi­nen­te. Le per­cos­se e le umi­lia­zio­ni la fan­no mori­re un po’ di più: “No, non denun­cio a mio mari­to, per­ché se lo sco­pre mi ammaz­za sta­vol­ta, no, non lo denun­cio mai, a che ser­vi­reb­be, rimar­reb­be in quel­la casa, ed io a rischia­re di più”. Guar­do quel­la signo­ra e mi ven­go­no in men­te le rei­te­ra­te sen­si­bi­liz­za­zio­ni a chia­ma­re il nume­ro ver­de, gra­tui­to ed effi­cien­te a dife­sa di chi non sa più a che san­to votar­si per soprav­vi­ve­re, se, al dirit­to di vive­re, è nega­to l’accesso. Fra­si fat­te, luo­ghi comu­ni, gli scu­di leva­ti al gri­do ” la vio­len­za sul­le don­ne non ha più scu­se”.

A que­sta don­na han­no sol­le­ci­ta­to “lo denun­ci signo­ra, lo denun­ci, e poi vada via subi­to dal pae­se”, ma lei mi dice: “Dove vado io, cosa fac­cio io?”. Incre­di­bi­le, chi ha ragio­ne ed è vit­ti­ma, deve tro­va­re il corag­gio di denun­cia­re, nel­la cer­tez­za di fini­re in stra­da, a per­de­re ulte­rior­men­te digni­tà e fidu­cia negli altri, sen­za rispo­ste a pro­pria tute­la, se non quel­la di un con­si­glio ad abban­do­na­re casa e anda­re lon­ta­no, dove e come ha poca impor­tan­za, per­ché di fon­di non ce ne sono, il pae­se non offre lavo­ro, nono­stan­te i decre­ti, le nuo­ve nor­ma­ti­ve, la leg­ge è quel­la che è. Una don­na pre­sa a cal­ci, rifiu­ta­ta e cal­pe­sta­ta, è sola­men­te il frut­to di una erra­ta con­ce­zio­ne mora­le, di valo­ri cul­tu­ra­li che soc­com­bo­no ai pugni sfer­ra­ti dai pre­giu­di­zi, si trat­ta sem­pli­ce­men­te di vit­ti­me ammu­to­li­te dal­la con­sa­pe­vo­lez­za di rap­pre­sen­ta­re poco più di un fat­tac­cio pri­va­to, anche quan­do la bestem­mia buro­cra­ti­ca è spo­glia­ta nel­la sua men­zo­gna, dall’efferatezza dei dati espo­nen­zia­li che indi­ca­no in miglia­ia le don­ne col­pi­te dai sas­si psi­co­lo­gi­ci, fisi­ci, ses­sua­li.

Men­tre scen­de dall’auto e la por­ta­no nel­la sua stan­za, ho come un mago­ne, ma non è il risul­ta­to del­la com­pas­sio­ne, del­la par­te­ci­pa­zio­ne emo­ti­va — soli­da­le ver­so chi vede mar­to­ria­ti i pro­pri dirit­ti fon­da­men­ta­li. Il grop­po in gola è lì per l’impotenza a inter­ve­ni­re ai fian­chi di infa­mie come que­ste, che acca­do­no nell’indifferenza e nell’incapacità di por­re ter­mi­ne a una del­le ingiu­sti­zie più mise­ra­bi­li che aggre­di­sce sem­pre le per­so­ne più debo­li e indi­fe­se. Ogni tan­to la signo­ra è costret­ta a ricor­re­re alle cure medi­che, a nega­re l’evidente, a chie­de­re aiu­to e veder­se­lo nega­to, ogni anno ci sono le ricor­ren­ze, le feste, le coreo­gra­fie del­le pari oppor­tu­ni­tà, sull’uguaglianza e sul­la diver­si­tà, sul­le quo­te rosa. Ogni anno, ci sono pure le mimo­se che dovreb­be­ro ram­men­ta­re, a cia­scu­no, di rispet­ta­re le don­ne. Non sola­men­te qual­che vol­ta l’anno.

Vin­cen­zo Andraous

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