L’Opinione. La sinistra che non c’è più… di Ivano Ciccarelli …almeno quella istituzionale dei partiti! Un…
L’Opinione. Giorni della Memoria 2014 di Ivano Ciccarelli
20/02/2014Questo articolo è stato letto 10976 volte!
tre Donne
a Ravensbrück
- a cura di Ivano Ciccarelli -
“allenare la memoria e il cervello è un mezzo per resistere”
(Lidia Beccaria Rolfi)
“i macellai nazisti non hanno la ‘grandezza’ dei demoni: sono dei tecnici, si somigliano e ci somigliano”
(Hannah Arendt)
Quello che segue è un collage dedicato alla memoria delle Donne tedesche, polacche, cecoslovacche, rumene, greche, francesi, belghe, olandesi ed italiane deportate, schiavizzate, torturate ed uccise nel primo campo di sterminio per sole donne realizzato dai nazisti a Ravensbrück. Donne accusate di essere ebree, comuniste, socialiste, religiose, zingare, lesbiche. Tutte, a modo loro, si opposero o non collaborarono alla barbarie nazista del secolo scorso.
Un collage composto da brani tratti dalle testimonianze di tre Donne:
Olga Benàrio |
in Prestes. Ebrea, comunista, già attiva nella Resistenza a Berlino; catturata in Brasile sul finire del 1936, fu consegnata dal regime di Vargas alle SS; arrivò a Berlino incinta di cinque mesi, così che nella prigione femminile della Gestapo nacque Anita; allattata per i primi sei mesi, gli fu poi tolta ed affidata alla nonna paterna; internata nel lager di Lichtenburg, poi è tra le prime a Ravensbrück dove restò per 6anni, morì che ne aveva 34, nel febbraio 1942 in una camera collettiva a gas di Bernburg. |
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Lidia Beccaria |
in Rolfi. (Mondovì, 08.04.1925 — 17.01.1996), figlia di contadini, a 18anni contribuì alla Resistenza, l’anno dopo, nel 1944, fu arrestata e deportata a Ravensbrück assieme ad altre tredici donne. Rimase nel Lager sino al 26 aprile 1945. Da donna libera, in Italia, insegnò nelle scuole e divenne scrittrice. Testimone contro ogni negazionismo e critica contro chi identificava la Resistenza nella sola esperienza della lotta armata. |
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Maria Arata |
in Massariello. (Massa Carrara 14.12.1912 — Milano 12.02.1975) da giovane collaborò alla Resistenza raccogliendo fondi per i partigiani del milanese e procurando documenti falsi per ebrei e antifascisti. Nel luglio del 1944 viene arrestata ed inviata dalle SS a Ravensbrück, liberata nell’aprile del 1945 dalle truppe sovietiche. Da donna libera insegna nei licei. Poco prima di morire terminò il suo libro di ricordi, tradotto nel 2005 anche in tedesco. |
I luoghi:
Ravensbrück, |
primo Frauenkonzentrationslager. Situato sulla riva di un lago a nord di Berlino. Aperto nel 1938, nel 1939 furono attivati 4 laboratori per la ‘vivisezione umana’; — solo qui - furono internate ed immatricolate 130mila Donne — solo qui - 92mila furono sterminate. Fu chiuso dall’esercito russo nel 1945. |
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Bernburg, |
villaggio a sud di Berlino e sede di un nosocomio psichiatrico. Himmler nel 1939 lo trasformò in laboratori per la vivisezione umana e sperimentazione delle prime ‘…camere a gas per morte collettiva collegate ad altoforni per l’incenerimento dei corpi…’; in quattro anni di attività — solo qui — sparirono più di 30mila deportati, in prevalenza ebree, comuniste, religiose e bambini Rom provenienti da Ravensbrück. Fu chiuso dalle truppe Alleate nel 1945. |
Olga, Lidia e Maria a Ravensbrück
Olga …l’ingresso del campo è stretto tra un bosco di pioppi e un lembo del lago che sembra voler invadere l’area edificata. A sinistra, su uno spiazzo sopraelevato, ci sono case e alloggi in muratura per ufficiali della Gestapo, medici e infermiere delle SS. Allineati ai lati, 6 blocchi nei quali abitano 600 soldati delle SS. Sullo stesso lato, altri 12 capannoni ospitano il canile, l’arsenale e i magazzini. A cinquecento metri da lì, a destra dell’entrata, sulla parte pianeggiante dell’area, c’è il campo di concentramento: 60 enormi padiglioni in legno costruiti simmetricamente uno dopo l’altro; 5 baracche molto più piccole, sempre di legno e costruite più tardi per i deportati maschi; 20 baracconi in muratura dove la Siemens gestisce i laboratori destinati ai beni per la guerra nazista prodotti da manodopera reclutata tra noi deportate. Il Frauenkonzentrationslager termina con 13 camerate in legno dove le SS tengono isolati i bambini divisi dalle madri, prevalentemente Rom deportati o catturati durante i rastrellamenti. Sul sentiero tra l’entrata principale e i padiglioni delle donne c’è il ‘bunker’, unico edificio in muratura a due piani, dove ci interrogano, ci isolano e ci torturano…
Lidia …nessuna persona normale può immaginare l’aspetto del campo di concentramento di Ravensbrück, un luogo concepito, studiato e strutturato apposta per violentare la persona, per umiliarla, per distruggerla, per renderla bestia…
Olga …arrivai a Ravensbrück con le prime 900 prigioniere; ci fecero allineare nel cortile; ci raparono tutte a zero; un ufficiale ci chiamò una ad una consegnandoci divise a strisce grigie e blu e fasce con triangoli numerati. Siamo classificate dal colore del triangolo: azzurro per straniere, immigrate e apolidi; viola per le testimoni di Geova; verdi per le comuni; neri per zingare, lesbiche e malate di mente; io e le altre ebree, ne ricevemmo uno in più di color giallo in modo che, dalla sovrapposizione capovolta di uno dei triangoli, si otteneva la stella di David…
Maria …il 30 giugno 1944 arrivarono le prime deportate italiane: 14 donne, tra i sedici e i cinquant’anni, provenienti dalle Carceri Nuove di Torino. Tra loro Lidia Beccaria Rolfi che aveva matricola 44140 e Anna Cherchi matricola 44145…
Olga …molte di noi, a scaglioni, cominciarono a partire su dei grossi pullman blu. Dopo un po’ tornavano indietro solo gli indumenti pesanti, giacche gonne e cappotti che ci ordinavano di redistribuire alle nuove arrivate. Tutte ci chiedevamo: dove sparivano queste donne? Ci organizzammo e quelle che erano d’accordo, portarono con se pezzetti di matita e foglietti di carta su cui scrivere i luoghi riconosciuti durante il tragitto e che avrebbero poi infilato in un buchetto praticato negli orli di gonne o cappotti. Dopo mesi riuscimmo ad intercettare qualche foglietto, portavano tutti lo stesso nome: Bernburg…
Lidia …il lavoro nel campo inizia nel momento in cui le deportate vengono svegliate dalla sirena del campo e dura per tutto il giorno, interrotto soltanto dalla lunga cerimonia dell’appello e dalle brevi pause per i pasti. La situazione è ancora piu difficile per chi, come me, è una ‘verfügbar’, cioè una operaia disponibile. Sono stata verfügbar per i primi cinque mesi di prigionia, in pratica una verfügbar è un corpo reclutabile per lavori massacranti e inutili; scavare fosse, scaricare battelli sul lago, affrescare vagoni, tagliar legna, pulire le fogne ecc. ecc…
Olga …per non impazzire nei pensieri ho trovato il modo di scolpire degli scacchi nella mollica che, col tempo, racimolai nella mensa della Siemenslager dove ci danno il pane di segale (…) con la fibbia dei sandali ho graffiato una scacchiera sulle tavole del dormitorio e, giocando, inganno il tempo, non penso. Fui scoperta e punita…
Lidia …per poter sopravvivere a Ravensbrück, occorreva salire di almeno un gradino la scala sociale, occorreva affrancarsi dalla condizione di sottoproletarie e diventare operaie; sopravvivere significa lavorare nel Siemenslager, dentro una fabbrica, con orari di lavoro anche di 14 ore, un tetto sopra la testa e pasti migliori. Per questo un giorno ho rubato una divisa a righe indispensabile per lavorare in fabbrica…
Olga …nel gennaio 1940 in un solo giorno la popolazione raddoppiò. Da Polonia, Austria e Cecoslovacchia sono arrivate 2940 donne. Qualche mese dopo venne Himmler per passare in rassegna il campo, il ricevimento fu allestito col massimo rigore. Mentre Himmler passava in rassegna le truppe, da una baracca mai identificata e in perfetta lingua tedesca, echeggiò: Heinricch Himmler non sei altro che un pederasta assassino!! Himmler finì la rassegna, salì sull’enorme Daimler-benz nera e andò via col suo seguito. Quando sparì le SS andarono in completa isteria, assalirono le baracche, ci fecero uscire nude sulla neve ma nessuno confessò. Io, perché oltre che tedesca e comunista, anche ‘jüdin’, ed altre, fummo punite per un mese intero nei sotterranei del bunker…
Maria …dopo di loro altre deportate arrivarono a Ravensbruck. Un trasporto di 45 donne il 5 agosto, da Verona, con prigioniere provenienti anche da Fossoli di Carpi. Tra queste deportate, Nella Baroncini matricola 49553, con le sorelle Angelina, Iole e la madre Teresa. Un altro trasporto arrivò l’11 ottobre da Bolzano. Il numero delle deportate italiane è stimato in 110. Tra loro Mirella Stanzione matricola 77415 con la madre e Bianca Paganini matricola 77399 con la madre Amelia e la sorella…
Olga …dalla mensa della Siemenslager io e Kate, un’olandese, rubavamo fette di pane e margarina che incartavamo in fogli dove scrivevamo messaggi o poesie, i pacchettini li portavamo di notte alle donne trattenute in infermeria per gli ‘esperimenti’, ci scoprirono e fummo punite…
Lidia …una mattina all’appello mi sono intrufolata nelle colonne delle operaie stabili ma venni immediatamente scoperta dalle SS e fui salvata da una deportata cecoslovacca che mi raccomandò al capo del personale della Siemens e non fui neanche punita. Il giorno dopo all’appello fui chiamata tra le operaie della ‘KolonneSiemens’, lo ero diventata a tutti gli effetti e lo devo ad una cecoslovacca che neanche conoscevo.
Olga …le uniche notizie dall’esterno giungevano con le nuove deportate che di volta in volta arrivano a Ravensbrück (…) per fissarle, così da avere un minimo di cognizione su come avanzava l’occupazione nazista e come si organizzavano Resistenza e Alleati, con altre donne ci riunivamo di notte, ognuna portava notizie che raccoglieva ovunque nel campo, poi con la matita si trascrivevano su dei cartoncini rubati negli uffici della Siemenslager ritagliati e ricollocati su di un ‘atlante’ composto a memoria (…) una spiata riportò alle SS delle nostre riunioni e mi indicarono come responsabile, cercarono l’atlante che Kate salvò sotto le vesti. Fui di nuovo punita in isolamento per tre settimane…
Maria …la prima vittima italiana fu la madre di Marianna Murri – anch’essa deportatata a Ravensbruck da Roma — morta nell’inverno 1944 di polmonite…
Olga …gli ‘esperimenti’ li conducono su donne selezionate a caso per ‘seguire lo sviluppo del bacillo del tetano’, degli stafilococchi e delle malattie veneree delle donne. Le iniezioni vengono praticate sulle gambe per provocare infezioni, poi, nelle piaghe, introducono schegge di legno e ferro. Senza anestesia per non ‘compromettere il carattere scientifico degli esperimenti’. Ad altre scambiano e trapiantano gli arti. Quando arrivarono gli uomini, cominciarono anche con loro, esponendo i testicoli ai raggi X, poi asportati per esaminarli. Qualche ‘cavia’ sopravvive, la maggior parte no…
Maria …altri cinque trasporti arrivarono dall’Italia, da Trieste e da Bolzano. Le deportate italiane arrivarono in un momento particolare, proprio quando il campo era nel caos più totale e estremamente popolato. Vennero destinate a lavori saltuari nei ‘kommand’ esterni, alla costruzione del nuovo lager destinato alle operaie della Siemens, a tagliare legna, a costruire terrazzamenti, a spalare carbone, a tirare il rullo spianatore…
Olga …le punizioni consistono in soste più e meno prolungate, nelle celle del bunker dove, durante gli interrogatori o nelle celle le SS ci bastonano, oppure ci frustano sul ‘prügelbock’, una sorta di sgabello di legno con piano superiore concavo e lacci di cuoio sulle quattro gambe dove, immobilizzate nude, ci frustano fino allo svenimento…
Lidia …un giorno vidi spalancarsi i cancelli di Ravensbrück, le SS gridavano ‘fünf zu fünf’ un ordine al quale tutte capivamo di allinearci cinque per cinque, così incolonnate e a suon di spinte e frustate ci spinsero fuori dal campo. Varcato il grande cancello d’ingresso, camminai prima in riva al lago poi nella pineta dove mi resi conto che forse avevo lasciato Ravensbrück definitivamente ma che questo non voleva dire ancora: libertà! Le truppe alleate erano nei pressi del campo. Le SS ci facevano marciare fünf zu fünf per usarci come scudi umani alla loro fuga. Poi vidi arrivare l’esercito russo a cavallo e mi salvarono, ci salvarono tutte…
Le nostre Maria, Lidia e tante altre uscirono vive dall’inferno di Ravensbrück. Purtroppo Olga morì in una camera a gas e poi bruciata nei forni. Una vita sfortunatamente breve. Ci ha lasciato con la sua ultima lettera scritta in fretta a sua figlia dopo aver appreso dell’imminente trasferimento a Bernburg. Consegnata ad una amica di camerata che, liberata, riuscì a farla arrivare ad Anita. Stralci dell’ultima lettera di Olga, chiudono questo semplice contributo alla Memoria. L’esempio consegnato da queste Donne all’intera umanità, è ben altra cosa!
Nella convinzione che anche Maria, Lidia e le sopravvissute di Ravensbrück potrebbero sottoscriverla per Tutte e Tutti noi…
…domani avrò bisogno di tutta la mia forza e di tutta la mia volontà. Per questo, non posso pensare alle cose che mi torturano il cuore, che mi sono più care della mia stessa vita. E per questo mi accomiato ora da voi.
Mi è totalmente impossibile immaginare, amata figlia, che non ti rivedrò, che non ti stringerò mai più tra le mie braccia anelanti. Vorrei poterti pettinare, farti le trecce… ma no, quelle te le hanno tagliate. Ma ti stanno meglio i capelli sciolti, un po’ spettinati.
Prima di tutto devi diventare forte. Devi camminare scalza o con i sandali, correre all’aria aperta con me. Tua nonna all’inizio non sarà d’accordo, ma poi ci capiremo molto bene. Devi rispettarla e volergli bene per tutta la vita, come facciamo io e tuo padre. Tutte le mattine faremo ginnastica… vedi? Ho ricominciato a sognare, come tante notti, e dimentico che questo è il mio addio. E ora, quando ci penso di nuovo, l’idea che non potrò più stringere il tuo corpicino tiepido è per me come morire (…)
cara Anita, caro amore mio, piango sotto le coperte perché nessuno mi senta, poiché oggi sembra che non avrò la forza di sopportare una cosa così terribile. Ed è per questo che mi sforzo di dirvi addio adesso, per non farlo nelle ultime e difficili ore. Dopo questa notte voglio vivere per il breve futuro che mi resta (…)
Ho lottato per ciò che c’è di più giusto e di più buono al mondo.
Ti prometto adesso che fino all’ultimo istante non dovrai vergognarti di me. Spero che mi capiate: prepararmi alla morte non vuol dire che mi arrendo, ma che saprò affrontarla quando arriverà. Ma nel frattempo possono ancora succedere tante cose… Conserverò fino all’ultimo momento la voglia di vivere. Adesso vado a dormire per essere più forte domani. Vi bacio per l’ultima volta. Olga
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riferimenti:
Tillion Germaine | Ravensbrück | Fazi — Campo dei Fiori 2012; |
Fernando Morais | Olga. Vita di un’ebrea comunista*** | il Saggiatore 2005; |
Valentina Greco | La costruzione di una biografia nel passaggio dalla memoria alla testimonianza di Lidia Beccaria Rolfi. | DEP n.2/2005
(DEP: deportate — esuli — profughe) rivista telematica di analisi sulla memoria femminile |
Maria Arata Massariello | Il ponte dei corvi. Diario di una deportata a Ravensbrück | Mursia 2005; |
Lidia Beccaria Rolfi
e Anna Maria Bruzzone |
Le donne di Ravensbrück | Einaudi 2003; |
Bruno Maida | Etica della testimonianza: la memoria della deportazione femminile e Lidia Beccaria Rolfi | FrancoAngeli 1997; |
Lidia Beccaria Rolfi | L’esile filo della memoria | Einaudi 1995; |
Hannah Arendt | la banalità del male | Feltrinelli 1963 |
*** il libro di Morais viene pubblicato in Brasile nel 1984, poi in tutto il mondo (in Italia nel 2005). Le testimonianze raccolte da Ravensbrück trovano ampio riscontro anche nelle memorie delle nostre Arata e Beccaria, Nel 2004 il regista brasiliano Jayme Monjardim, ne fa un film giudicato ‘eccellente’ per ambientazione e ricostruzione storica. Olga è interpretata da una giovanissima e sorprendente Camila Morgado. Il film, proiettato in tutte le sale del mondo, riceverà molti ed importanti premi internazionali; nonostante ciò, mai doppiato quindi mai proiettato nelle sale italiane. Tuttavia la sua versione originale in lingua portoghese è rintracciabile on-line o presso il sottoscritto che, qualora lo vogliate, sarà lieto di fornirvene copia (eventuali contatti presso: ivano.ciccarelli@libero.it).
(il particolare di immagine a pag.1 è tratto da una scena del film di Monjardim)
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