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Integrazione, solidarietà, confronto. L’Italia del sociale solidale con la Ministra Kyenge
15/07/2013 0 Di Francesca MarrucciQuesto articolo è stato letto 12730 volte!
L’Italia è razzista. E’ la maggioranza che fa le definizioni e chi fa sociale sa bene che è così. No, non tutti gli Italiani sono razzisti. Molti lo sono solo perché sono ignoranti, non conoscono, hanno paura della diversità, ma questo non cambia i fatti: la maggioranza degli italiani sono razzisti. In buona fede, magari, ma razzisti.
Chi lavora con gli immigrati lo sa, perché lavorare sull’integrazione e sulla solidarietà ti rende a tua volta vittima di discriminazione, per questo molti fanno sociale ‘ma non con gli immigrati…abbiamo tanto bisogno noi in Italia!’. Quante volte le avete sentite queste parole? Come se la povertà, l’emarginazione, il disagio, avessero una nazionalità o una priorità legata ad un’etnia piuttosto che ad un’altra.
In Italia non si capisce che la diversità è un’opportunità di crescita. Non si capisce che chi è integrato ha voglia di stare insieme, ha voglia di appartenenza e non è più pericoloso. L’emarginazione e la discriminazione creano solo delinquenza e solitudine. Noi su questo principio abbiamo puntato tutto sin dall’inizio. Con i nostri progetti (spesso rigettati dalle istituzioni, guarda un po’, per favorire cose più indirizzate ‘agli italiani’, segno che l’ignoranza è anche e soprattutto nelle istituzioni), con la nostra filosofia aggregativa, con il nostro operare quotidiano.
La nostra idea è conoscere, innanzi tutto, per capire che la diversità non fa paura, ma nutre la nostra sete di conoscenza. Poi, dopo la conoscenza viene la ‘contaminazione’: scambiare idee, cibo, musica, letteratura, storie, significa arricchirsi e capire nuovi mondi, guardare le cose anche da altri punti di vista. Significa crescere.
Noi cresciamo, loro crescono e ognuno capisce di più dell’altro, impara a discernere gli stupidi luoghi comuni e le leggende metropolitane dalle tradizioni, dalle credenze alle abitudini. E dal rispetto nasce l’amicizia.
In questo processo noi crediamo. Non ci interessa un Paese che tiene gli immigrati nel ghetto, buoni solo per raccogliere pomodori a 1 euro l’ora, per spacciare o prostituirsi. Gli immigrati non possono essere la nostra manodopera sporca, hanno la stessa nostra dignità e i nostri stessi diritti, a tutti deve essere data un’opportunità, come è stata data a noi nel secolo passato e come continua ad esserci data da qualche anno a questa parte, da quando la crisi ha spinto di nuovo gli italiani ad emigrare.
Basta con le storie che usiamo come stupide ed ottuse scuse: gli immigrati ci tolgono il lavoro. Riflettiamo su due soli dati: gli immigrati fanno i lavori che noi non facciamo più (badanti, braccianti, colf, manovali, dcc.) e se pure gli italiani volessero, in tempo di crisi, adattarsi finalmente a rifare questi lavori cosiddetti ‘umili’, sono i datori di lavoro che preferiscono gli immigrati perché possono pagarli di meno e sfruttarli di più. E la colpa sarebbe degli immigrati? O degli italiani che approfittano delle situazioni di difficoltà?
E basta con i finti compromessi: o penso agli italiani o agli stranieri. Quando si parla di solidarietà, non ci sono classifiche. Non ci sono lavagne con liste di buoni e cattivi. La solidarietà è senza colore. Ce lo ricorda anche Papa Francesco, ma molti sentono solo quello che vogliono sentire. Interpretano e traducono il messaggio a seconda di quello che fa loro più comodo. Ma non è così che funziona. Non è così che si lava la coscienza.
Quello che sta succedendo alla Ministra Kyenge è un esempio di questo modo di essere ‘cristiani’ degli italiani ‘brava gente’. Due pesi e due misure. Come si può tollerare che una donna che ricopre una carica istituzionale sia fatta oggetto di insulti e minacce (anche fisiche come ha raccontato il Corriere della Sera) quotidiane solo perché di colore? E poi giustificare tanto odio e razzismo buttandola sempre in battuta. Vorrei sapere se i Leghisti come Calderoli e Borghezio si sarebbero fatti quattro risate se qualcuno avesse fatto delle ‘battute’ sulla loro virilità (cosa che alla Lega è stata sempre particolarmente a cuore) o sulle loro tendenze sessuali (da bravi machi omofobi). Bollare l’insulto e l’incitamento all’odio come ‘battuta’ è una giustificazione ingiustificabile.
Sono d’accordo con l’Huffington Post che ieri faceva notare: se un vicepresidente del Senato può permettersi di insultare così una Ministra dello Stato, perché non si dovrebbe sentire autorizzato a farlo anche un ragazzino a scuola con il compagno di classe di colore? Ecco, su questo dobbiamo riflettere. Che china sta prendendo questo Paese e dove pensiamo di andare continuando ad incitare all’odio?
In USA la gente è scesa nelle strade a protestare dopo la sentenza che assolveva il poliziotto bianco reo di aver sparato, lo scorso anno, ad un ragazzino di colore disarmato in Florida. Sono scesi a protestare per una profonda ingiustizia morale. Bianchi e neri. Tutti.
Qui, per gli insulti ad un Ministro, paragonato ad una scimmia, cosa che altrove avrebbe creato uno scandalo indicibile, qualcuno si indigna, si chiedono le scuse, ma si fa finta di non capire che a fronte di un messaggio da un rappresentante delle istituzioni così dirompente, non ci sono scuse che reggano. Anzi, si cerca addirittura (e qui non so se sia frutto di un vero deficit intellettivo di Calderoli o di presunzione assurda) di essere ‘simpatici’ dicendo che era un apprezzamento estetico, non di principio. Estetico? Il problema è che paragonare Calderoli ad un qualsiasi animale, farebbe un torto a quest’ultimo, quindi non si può nemmeno rispondere sullo stesso piano.
Noi non crediamo a questo modo di fare. Noi crediamo che stare insieme, conoscere le cose cha abbiamo in comune e quelle che ci distinguono, sia il primo passo verso una convivenza pacifica, proficua e moderna. L’Italia merita di più dagli italiani. L’Italia merita più solidarietà.
Francesca Marrucci
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Ho iniziato a 16 anni a scrivere sui giornali locali, per poi crearne uno, Punto a Capo, passando poi ai quotidiani e infine all’online.
Oggi, oltre a dirigere Punto a Capo Online e Punto a Capo Sport, collaboro con altri quotidiani online e dirigo l’Ufficio Stampa di Punto a Capo.
Inoltre, sono traduttrice, insegnante e Presidente della Onlus che pubblica il giornale. Faccio tante cose, probabilmente troppe, adoro scrivere, leggere e viaggiare e ho bisogno sempre di nuovi stimoli, di iniziare nuove avventure e creare nuovi progetti.
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