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L’Opinione. La casta politica e la politica casta di Ugo Onorati
13/02/2012Questo articolo è stato letto 5064 volte!
La casta politica e la politica casta
di UGO ONORATI
Vorrei parlarvi di un tema fin troppo intrigante per la nostra sensibilità, ma soprattutto allettante alle nostre orecchie per il piacevole calembour: la casta politica e la politica casta. Potreste anche andarvene, sapete e sappiamo già tutto, o crediamo di sapere tutto, da bravi nipotini di Machiavelli. Italiani che non siamo altro. La morale e il moralismo, come la bontà e il buonismo sono due cose diverse.
Ma arrivare a parlare della politica casta, quando da qualche anno a questa parte il tormentone dei pamphlet e di tutti i media è proprio quello della Casta, dei suoi privilegi, delle sue paranoiche esternazioni di potenza (“arroganza” è un vocabolo troppo consumato, che sta assumendo quasi dei connotati positivi!) in un crepuscolo della morale, dei valori e della stessa forma della democrazia che in molti casi assomiglia, più che al tramonto dell’Occidente di Spengler, alla cena di Trimalcione del buon Petronio.
Intanto le parole: Casta, che significa nell’accezione comune una classe o un gruppo di persone che si considera per nascita o per condizione separato dagli altri e gode o si attribuisce speciali diritti o privilegi. Si fa derivare dallo spagnolo, significando razza pura non mescolata (ad esempio con moriscos, o giudei) e quindi “nobile” contrapposto a “plebeo”, l’hidalgo che non si sporca le mani con il lavoro versus il gaglioffo popolare o borghese che deve faticare per vivere; ma a sua volta la parola spagnola viene dal vocabolo latino castus, che vuol dire “puro, innocente, verecondo”, perché è “carente” si astiene dai piaceri del sesso non consentiti. Il latino rinvia alla radice indoeuropea KAR/S che si astiene (dai rapporti impuri con le classi sottomesse) riscontrabile nel sanscrito (la lingua sacra e arcaica dell’India) nelle parole: carya (castità) e kastha (limite, circoscrizione sociale). Dopo il fortunato libro di Sergio Rizzo e Gian Antonio Stella: La casta, che nel solo 2007 ha conosciuto circa una quindicina di edizioni, di denuncia alla classe politica dirigente italiana, divenuta inamovibile, inattaccabile, dotata di schifosissimi e intollerabili privilegi e per di più amorale e impunita, con ultrasemantico riferimento all’oligarchia indù, ora ci troviamo di fronte a una serie di paradossi. La “casta” nell’accezione comune data ai politici italiani dai due giornalisti è tale perché “impura” e non perché “pura”; “intoccabile” non perché inferiore nella stratificazione sociale, ma perché talmente al di sopra delle leggi e al di là del bene e del male di nicciana memoria, che neanche la magistratura riesce (se non in casi eccezionali) a mettergli le manette addosso. Casta in quanto élite di nullafacenti operosi nel fare il male e non il bene della nazione, contrapposta al vessato cittadino, questo sì “casto”, essendo puro e ignaro, sfruttato e sottomesso.
A quel fortunato libro ne sono seguiti altri che ci hanno informato esservi in Italia altre “caste”, come quelle dei giornalisti, dei sindacalisti, dei dipendenti pubblici e perfino delle gerarchie ecclesiastiche! E se andassimo a cercare bene si potrebbero scrivere e pubblicare altri volumi su tante altre caste, come quella dei notai, dei banchieri, dei professori universitari e perfino degli amministratori di condominio! Ci sarebbe materiale non per una, ma per cento rivoluzioni francesi, russe e cinesi! E invece niente. Il libro, i libri anzi, si vendono bene, e ognuno si indigna per la casta dell’altro. Ma senza fare rivoluzioni. Basta soltanto sopportare pazientemente “la casta molesta”. Che ci volete fare? Rassegniamoci. Lo sa da sempre il cittadino “casto”: i politici sono tutti ladri, chi più chi meno. Mangiassero pure, ma almeno facessero qualcosa! E che dovrebbero fare i politici per i cittadini da loro delegati per amministrarli? Qualche opera pubblica vistosa, dare posti di lavoro, raccomandarci per trovare un posto all’ospedale, coprirci paternamente se abbiamo fatto o vogliamo fare qualche bassa marachella. Perché la legge, in fondo, è “uguale per tutti”, ma per qualcuno (parafrasando Orwell) deve essere ancora più uguale! Se qualcuno non lo conosce, si legga il bellissimo paradossale e amaro racconto di Italo Calvino, intitolato: La pecora nera. Si vedrà come in un paese dove tutti, ma proprio tutti, sono ladri, le cose filano a dovere, ma dove basta un solo stolto onesto a mettere in crisi il sistema. Dunque troppo spesso il “casto” è tale, solo perché escluso o non abbastanza vicino alla “casta” per farne parte. Se un politico afferma o dimostra che la politica è tutto un “magna magna” – per dirla con Roberto Benigni in Johnny Stecchino – questi lo fa non per incoraggiare, ma per scoraggiare i casti che volessero occuparsi della cosa pubblica. Invece se lo dice un casto cittadino vuol dire: A) che vorrebbe tanto far parte della “casta”, B) che, non potendo far parte della casta, ai suoi occhi non c’è differenza, i politici sono tutti uguali. Un atteggiamento, questo, moralmente devastante, proprio del cittadino “casto” middle class / operaio / pensionato / disoccupato che alimenta e sostiene la perpetuazione della “casta”, tale che al confronto l’Uomo qualunque di Giannini ci farebbe la figura di un “borghese grande grande”. Se questa opinione comune fosse vera (vox populi, vox dei), perché mai un cittadino onesto dovrebbe dedicarsi alla politica? L’ortodossa prece del “casto” recita: “Se quello fa politica, qualcosa ci guadagna, se no perché lo fa?” È impensabile per molti “casti” cittadini che si possa svolgere un’attività di volontariato o di pubblico servizio, senza altro recondito fine. Ma come siamo arrivati a questo sfacelo morale? Perché la maggior parte dei cittadini “casti” giustifica e comprende il via vai di veline e letterine nude avvolte dal solo tricolore, quasi fossero novelle Geri della Garisenda? Ricordate Tripoli bel suol d’amore? Una volta la cocaina era per D’Annunzio e Farinacci, oggi è un prodotto di largo consumo, da vendere non solo nelle farmacie, ma pure nei supermercati. Davvero osereste pensare che la casta non sia più o meno lo specchio di chi lo chiama a farsi rappresentare? La domanda che mi sono posto per voi è la seguente: “È sempre stato così, oppure no?”. Credo che come per i cicli economici, anche per la società e la politica ci siano alti e bassi. Il Risorgimento nazionale ci consegnò un’Italia e una classe dirigente unita al popolo da ideali e da rigore morale dimenticati da secoli, ma poi alla Terza Roma subentrò la seconda Bisanzio. La fine della Resistenza e della seconda guerra mondiale ci consegnarono una classe dirigente di prim’ordine non solo fra le file dei cattolici impegnati nel servizio della politica (De Gasperi, Fanfani, Piccioni, La Pira, Giordani…), ma poi arrivarono i professionisti della “casta” e i succedanei di questi: appellati con maliziosa simpatia: “furbetti del quartierino”.
A questo punto domando a voi: “Nasce prima l’uovo o la gallina?”. Vale a dire: è il cittadino “casto” che fa la casta, o viceversa? In ogni caso la classe politica, qualunque essa sia, ha una responsabilità più alta e più profonda, rispetto ai cittadini che rappresenta, vale a dire che non le è consentito (per rimanere con Platone) indulgere alla demagogia.
Altra domanda (e chiudo): c’è la possibilità e la speranza di restituire vita a un corpo sociale in gran parte putrefatto? E se sì, come?
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